LETTERE A TITO: IN VENDITA DELLA VILLA-TENUTA DEI BARONI PÀPARO AL MARE DI BADOLATO, SIGNIFICATI SOCIALI
Badolato, uno scorcio
Un annuncio immobiliare che, diffuso pure sui “socialmedia” a livello sembra porre fine ad un’epoca, lunga alcuni secoli, in cui (nel bene e nel male) tale famiglia latifondista ha condizionato o promosso lo sviluppo locale ma anche di vicini e lontani dintorni, ovunque si siano dispiegate le sue immense proprietà
di Domenico LANCIANO (www.costajnicaweb.it)
– BADOLATO (CZ) – 28 OTTOBRE 2023 – Caro Tito, per me personalmente una delle notizie più impostanti dell’estate 2023 è stata quella riguardante l’annuncio della messa in vendita della Villa-Tenuta dei baroni Pàparo al mare di Badolato (CZ).
Un annuncio immobiliare che, diffuso pure sui “socialmedia” a livello internazionale (https://www.idealista.it/immobile/27654516/ – https://www.italy-sothebysrealty.com/it/vendita/immobili-di-pregio-in-vendita/badolato-imponente-tenuta-nobiliare-affacciata-sul-mare-9050.html – ed altri), sembra porre fine ad un’epoca, lunga alcuni secoli, in cui (nel bene e nel male) tale famiglia latifondista ha condizionato o promosso lo sviluppo non soltanto di Badolato ma anche di vicini e lontani dintorni, ovunque si siano dispiegate le sue immense proprietà.
D’altra parte, tale vendita era da me cosa attesa ed anzi è giunta in forte ritardo sulle previsioni che avevo fatto, quando il 07 ottobre 1986 ho dato inizio alla vicenda di “Badolato paese in vendita in Calabria” per salvare dal degrado e da sicura morte il borgo antico del mio Comune natìo.
Infatti, la famiglia-erede dei baroni Pàparo (le cui generazioni si erano estinte nel 1976 con la morte dell’avv. Mario, ultimo barone) aveva già alienato l’imponente palazzo gentilizio presente al centro del borgo antico.
Palazzo che, dopo un principio d’incendio e il cedimento del tetto, è rimasto disabitato e abbandonato a sé stesso, purtroppo pure con il pericolo di possibili crolli sulle case circostanti.
Ci si chiede ancora adesso come mai, dopo il palazzo dei baroni Gallelli al Mancuso, il Comune non entri in possesso pure di questa altra grande struttura che potrebbe ospitare iniziative pubbliche assai utili.
Tra l’autunno 1986 e per tutto il 1987, la Villa-Tenuta rientrava nell’ipotizzato acquisto di tutto il borgo da parte di tre immobiliari israeliane e di una di New York per farne un “paese-albergo”.
Come evidenziato in altri miei scritti, gli Israeliani erano interessati ad acquistare, oltre alle case disponibili nell’intero borgo, tutti i terreni sul mare che da questa Villa Paparo vanno fino al torrente Ponzo (circa un chilometro di fronte spiaggia) e parte della montagna attorno all’attuale Lago Lacina.
E’ probabile che ancora adesso gli Israeliani possano essere interessati all’intero progetto e, in particolare, a tale Villa-Tenuta Pàparo.
Perché dedico l’intera “Lettera n. 493” a tale messa in vendita? …
Soprattutto perché questa Villa-Tenuta Pàparo ha una significativa valenza sociale, ma anche perché ad essa sono legati alcuni ricordi miei personali e della mia famiglia per alcune generazioni, mentre per tutti i badolatesi è sempre stato un punto di riferimento anche emotivo ed estetico. Inoltre, che io sappia ed abbia visto, per circa 390 km, lungo la strada statale 106 jonica (Reggio Calabria – Taranto) e lungo la parallela ferrovia (Metaponto – Reggio Calabria) non c’è una Villa-Tenuta così bella e grande.
Provo così ad elencarne, qui di sèguito, i principali significati sociali.
Per tanti non-badolatesi (specialmente turisti) voglio evidenziare che tale Villa è ricordata sia per averla vista dal treno (poiché la ferrovia la costeggia fin dal 1875) sia passandoci davanti per andare al mare (almeno fino a quando, qualche anno fa, non è stato chiuso il passaggio a livello sulla ferrovia).
Infatti, la facciata principale della Villa si dispiega tutta sulla suggestiva “Via del mare” che da Via Gramsci giungeva in continuità fino alla spiaggia prima dell’interruzione davvero inopportuna con l’obbrobrio del muro che impedisce pure la vista della Villa e del mare.
Con Mimmo Procopio e altri stiamo cercando, con una petizione, di far riaprire il passaggio a livello, specialmente a beneficio di anziani, di invalidi in carrozzella e di mamme con il passeggino.
E’ stato assai crudele inibire il passaggio della gente a favore di un sottopasso pericoloso e distante oltre 500 metri.
Non si può espropriare così tanto incautamente e prepotentemente una comunità come Badolato che ama tanto il mare, verso cui è vietato l’accesso per considerevole parte della popolazione.
Già nei secoli passati il mare era praticamente inibito dalla paura per i pirati turchi, adesso per i “nuovi turchi”.
E’ ingiusto.
Vedi, più avanti, al paragrafo 6 il metodo migliore per firmare la petizione per la riapertura del passaggio a livello o almeno per la costruzione di un sottopasso ad esclusivo uso pedonale, specialmente per persone anziane o in carrozzina e per le mamme con i passeggini dei bambini.
1 – CONSISTENZA DELLA VENDITA
Come è possibile vedere dalla foto aerea di copertina, la Villa dei baroni Pàparo al mare di Badolato sorge (dal 18° secolo) dentro una “Tenuta” agricola di oltre quattro ettari che, nel corso dei secoli, ha assunto varie funzioni.
Il palazzo padronale vero e proprio, costruito su due piani, con ampio cortile interno, consiste in 2600 metri quadrati abitabili, con ben 45 stanze, 8 bagni e alcuni locali adibiti a magazzini e garage per le automobili. Il prezzo di vendita è stato fissato a 2.300.000 euro.
A questo link << https://www.idealista.it/immobile/27654516/ >> è possibile vedere 22 eloquenti foto della Villa, della “Tenuta” e la scheda della consistenza del bene messo in vendita. In pratica (una volta venduta tale proprietà) dei baroni Pàparo non resta praticamente più niente in Badolato di simbolicamente visibile dal punto immobiliare, se non il fabbricato al centro della cittadina (vicino alla stazione ferroviaria) dove c’è un Tabacchi e il Bar Centrale con qualche appartamento e poi casette basse vicine (se nel frattempo tali proprietà non sono già state alienate).
Scompare così anche la memoria visiva di questa antica famiglia baronale, anche se il Lungomare è stato recentemente intitolato al barone Mario.
Ovviamente restano molteplici terreni, ma di preminenti simboli edilizi pare proprio di no.
2 – SIGNIFICATI SOCIALI DELLA VILLA-TENUTA
Tale Villa era solitamente usata dai baroni nei mesi estivi sia come vacanza e “cambiamento d’aria” (dalla caotica Roma dove solitamente abitavano) sia per seguire i lavori agricoli, dal momento che la pianura antistante la Villa, sotto ferrovia verso nord, prima dell’esproprio comunale, era tutta loro e tutta coltivata a vigna … tanto è che c’era (vicinissima alla stessa Villa) una casetta con i palmenti per la vendemmia, adesso trasformata in un “pub”.
Mentre, nel recinto esterno della Tenuta, verso il mare c’era (accanto alla chiesetta) un edificio che, al piano terra, aveva delle grandi botti per conservare il vino prodotto nei terreni del litorale.
Fino ai primi anni settanta ho avuto la possibilità di vedere più volte queste grandi botti.
Oggi tali locali sono occupati dal ristorante L’Ancora.
Sopra a tale edificio c’erano le abitazioni di due famiglie di coloni che badavano ai terreni della Tenuta di 4 ettari, in gran parte occupati da uno dei primi agrumeti della nostra zona jonica e dotato di guardianìa armata 24 ore su 24 nel periodo della presenza del frutto sull’albero.
Sicuramente, prima dell’avvento dell’automobile, c’erano le stalle per i cavalli e le rimesse per i calessi.
Lungo la via che porta al mare, sempre sul recinto esterno, ci sono ancora ampi locali che, prima dell’entrata in funzione della ferrovia nel 1875, ospitavano le merci del “porto” poiché l’import-export con città lontane (tipo Catania, Malta, ecc.) era eseguito con i velieri che venivano usati pure come trasporto passeggeri.
Anche per tale motivo e ancora adesso qualcuno ricorda che la zona antistante la Villa-Tenuta si denomina “Tiratòre” ovvero dove si tiravano le barche (per la manutenzione o per avvicinarle a riva e portarle sulla spiaggia).
Dalle mappe nautiche, il mare antistante Badolato viene indicato come “approdo sicuro” nell’ambito del turbolento Golfo di Squillace.
I magazzini cosiddetti del porto venivano usati quasi tutti dagli armatori della famiglia Bressi (quella dei Simuni) che aveva la maggiore flotta di velieri per il trasporto di persone e merci verso le varie destinazioni.
L’ultimo dei Simuni armatori, don Peppino Bressi (nato nel 1851), era mio bisnonno paterno ed è stato, appunto, l’ultimo armatore “import-export” e capitano di velieri prima della ferrovia che comunque ha poi usato per i propri commerci.
Nel periodo estivo, quando c’era la famiglia del barone, il clero locale si avvicendava per celebrare messa, domenica mattina, nella cappella interna alla Villa.
A tale usanza (molto comune presso i ceti ricchi e nobiliari) ha posto fine il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).
Quando toccava a padre Silvano Lanàro ci andavo pure io per servire messa, terminata la quale la baronessa mi regalava una piccola confezione di biscotti che poi barattavo al negozio di alimentari di “Peppi Gallelli ‘e Mommu alla stazione ferroviaria” con della cioccolata.
Dopo il 24 marzo 1952 (data di nascita di Badolato Marina quando il capo del governo De Gasperi ha consegnato i primi 78 alloggi su 335 per gli alluvionati del 1951) gli abitanti del nostro litorale potevano andare a seguire la messa domenicale alla chiesetta della Villa-Tenuta Pàparo, quasi sempre celebrata da don Antonio Peronace che veniva da Badolato Superiore (ora detto borgo) con la sua Fiat 500 belvedere.
Spesso da bambino partecipavo a questa messa con le mie sorelle e pretendevo di avere pure io l’ostia che prendevano gli altri (ovviamente la particola che mi dava il sacerdote non era stata ancora consacrata).
Nella dichiarazione di vendita della Villa-Tenuta è intuibile ma non è detto chiaramente se sono acquistabili pure i locali esterni alla Villa vera e propria (magazzini, chiesetta, ex cantine e abitazioni dei coloni, dove adesso c’è il ristorante l’Ancora).
Accanto alla chiesetta chissà se c’è ancora il pozzo di acqua potabile dove attingevano tutti i contadini e i passanti della zona?!…
3 – ALTRI SIGNIFICATI PER I BADOLATESI
Uno dei ricordi più vivi che ho, inerente tale complesso della Villa-Tenuta Pàparo, è quello del gennaio 1971 quando le onde del mare (mai agitato come allora) sono giunte fino alla chiesetta, percorrendo oltre 300 metri.
In quell’occasione, il mare ha ingoiato in un solo boccone i due stabilimenti balneari (Lido Delfino, impiantato nel 1969, e il Lido Due Ruote, funzionante nel 1970).
Per Badolato e la Calabria è stato l’inizio clamoroso dei cosiddetti “cambiamenti climatici”.
Da allora il tempo, il mare e il clima non sono stati più gli stessi.
Prima di quella data era tutto regolare, quasi al cronometro.
Poi invece non si è capito più niente.
In quella drammatica occasione il mare è avanzato e la nostra spiaggia ha perso oltre cento metri di sabbia, mentre sono state ingoiati o distrutti tanti altri stabilimenti balneari lungo la nostra costa jonica, nonché il faro ed il lungomare di Catanzaro Lido, il lungomare e le terme in costruzione di Soverato e altre strutture edificate a ridosso della spiaggia.
Una svolta epocale per noi.
A parte questo, la Villa-Tenuta ha significato molto per noi badolatesi, specie per noi “marinoti”.
Grazie alla gentilezza del custode don Ciccio Mottola, il quale, quando l’agrumeto non aveva frutta, lasciava il cancello del giardino socchiuso e si poteva entrare per una breve passeggiata all’interno di quello che veniva chiamato “Parco”. “Barcu” o “Parco” in badolatese significa esclusivamente giardino di arance, ma nel linguaggio della nobiltà significava “parco” o “giardino” come in tutte le altre dimore storiche nobiliari.
E, infatti, pure questo Parco della Villa aveva piante esotiche di ogni genere e bellezza e quelle maestose palme che si slanciavano in alto con le loro chiome, vicino ai binari della ferrovia (ben visibili dal passaggio a livello).
Pare che pure le tre palme del piccolo giardino della vicina stazione ferroviaria fossero state donate dai baroni Pàparo.
Hanno quindi una data (attorno al 1875).
Queste della Villa e quelle della stazione pare siano state le uniche o le prime palme della nostra zona e davano un tocco esotico e di particolare bellezza.
Dentro al Parco della Villa, nel settembre 1971 noi Euro Universal abbiamo fatto le foto da inviare alla casa discografica RCA di Roma per il primo provino di un mese dopo.
Inoltre, il Parco era mèta di coppiette di adolescenti che si nascondevano tra i tanti alberi.
Quanti giovani amori si sono beati di quel giardino!
4 – LA FAMIGLIA MOTTOLA
L’ultimo barone Paparo, l’avv. Mario, aveva sposato una nobildonna di Vibo Valentia da cui non ha avuto figli.
E questa è stata poi la città dove è stata spostata, da Badolato, tutta la gestione dell’immenso patrimonio Pàparo che insiste sul lato jonico della Calabria.
Ti propongo di leggere l’articolo << https://www.laradice.it/?p=view&cod_art=1301381 >> pubblicato con il titolo “Lungomare barone Mario Paparo” alla pagina 38 nel fascicolo n. 1 del 31 marzo 2007 (anno 13 di questo prezioso trimestrale badolatese, diretto da Vincenzo Squillacioti).
Per paradosso, a fare tale intitolazione all’apparente avversario o nemico di sempre è stata proprio un’Amministrazione comunale comunista.
E i comunisti di Badolato (si sa) sono arrivati persino ad “odiare” (almeno politicamente) i baroni Pàparo e gli altri proprietari terrieri (che sono stati sconfitti nelle prime elezioni comunali repubblicane del 1946) per come e quanto abbiano fatto soffrire i badolatesi.
Tale intitolazione è voglia di “riconciliazione o risarcimento morale”?….
O c’è dell’altro?…
Molti badolatesi sanno, anche se non dicono.
E invece ci sarebbe davvero tanto da dire sul chiacchierato rapporto socio-economico dei comunisti badolatesi con il barone Mario Paparo (o, meglio, con i suoi amministratori), specialmente nella selvaggia lottizzazione effettuata nel corso degli ultimi 70 anni in Badolato Marina.
Della serie “Tutto il mondo è paese”.
Ma io voglio dedicare, in particolare, questo paragrafo 4 alla famiglia MOTTOLA, che ha abitato per tutto l’anno e per tantissimi anni nella Villa-Tenuta con il compito di custodia (stabile e continua) e di prima manutenzione.
Noi ragazzi mentre temevano un po’ papà “don Ciccio do Barcu” o “don Baruni Cicciu do” ed eravamo molto amici dei figli Achille e Pepè, mentre la bellissima figlia era andata in sposa ad un falegname locale, generando altre figlie altrettanto bellissime.
Lo temevamo perché era sempre presente, specialmente a guardia del Parco, dove noi cercavamo di introdurci di nascosto con la fidanzatina.
Tuttavia era un “burbero” buono e a volte sapeva chiudere un occhio, purché dimostrassimo di comportarci bene.
Lo ricordiamo riservato (come si conviene alle persone di massima fiducia presso famiglie nobili o ricche).
Ed era magrissimo e sempre con la sigaretta tra le dita, con i suoi occhiali spessi e il suo sorridere pacato e ironico che ce lo rendeva definitivamente simpatico.
E’ uno dei personaggi più emblematici della nostra infanzia e adolescenza.
Poi la partenza per l’altrove esistenziale di ognuno di noi ci ha fatto perdere tutto questo mondo fatto di luoghi ameni e personaggi tutto sommato simpatici.
Altra simpatia e amicizia avevo per le due famiglie di coloni (forse entrambe vibonesi) che abitavano i locali accanto alla chiesetta.
Una di queste, Patanìa, ricordo molto bene poiché i due figli, un maschietto ed una femminuccia erano miei compagni alle scuole elementari.
L’altra famiglia mi sembra si chiamasse De Marco.
Prima della seconda guerra mondiale, quelle loro abitazioni erano state adibite a sede della Guardia di Finanza (forse proprio perché vicinissime al mare).
I Patanìa e i De Marco si prendevano cura del grande agrumeto, dell’annesso orto e delle numerose piante esotiche. In occasione di lavori straordinari o di maggiore impegno sia per l’agrumeto che per l’orto, venivano impiegati altri braccianti e contadini esterni.
Tra questi (e per più lungo tempo) c’era pure il compianto mio cugino Antonio Lanciano (figlio di mio zio Francesco, fratello di mio padre), il quale aveva una grande esperienza, avendo lavorato per decenni negli vasti orti della Lombardia.
5 – IL SOGNO DELLE ARANCE DI MIO PADRE
E a proposito del grande agrumeto baronale … questo era stato impiantato (probabilmente primo in Badolato in modo così ben recintato e difeso con guardiania armata, così intensivo e vario come qualità) in una data a me non nota e comunque, molto “antica”.
Sicuramente era in piena attività produttiva nel 1915 quando a mio padre è capitata una disavventura, che raccontava spesso per far capire a parenti ed amici il perché ha poi realizzato pure lui un pregiato agrumeto con quasi 360 piante tra arance, limoni, mandarini in località Vallone (adesso inglobato dall’espansione urbanistica).
Un agrumeto più moderno, quello di mio padre, sicuramente migliore del barone come qualità con la presenza (per la prima volta in zona) della cultivar di arance “Whashington” (sicuramente le più buone del mondo, imitate adesso dalle Navel, che però non sono affatto la stessa cosa).
Ma ecco in breve la storia di mio padre.
Mio nonno paterno aveva un terreno (oltre tre ettari, con casetta per il palmento e l’alloggio) proprio dall’altra parte del torrente Vodà alla foce, prospicente al Parco del barone Pàparo da cui poteva distare massimo 50 metri.
Un giorno d’autunno, quando aveva appena dieci anni (quindi nel 1915) mio padre e due suoi fratellini, spinti dal profumo proveniente dal vicino Parco, sono riusciti ad allargare la recinsione dell’agrumeto con l’intenzione di assaggiare finalmente le arance che erano di esclusiva pertinenza baronale e nessuno aveva ancora in Badolato.
Infatti, a quei tempi, non era un frutto diffuso come oggi.
Era una vera e agognata rarità.
E per bambini come mio padre era cosa ancora sconosciuta e come tale molto attraente e desiderabile.
Mentre stavano rientrando dal varco nel recinto con alcune arance, sono stati sorpresi dal guardiano il quale li ha riempiti di così tante percosse da costringerli a letto per alcuni giorni e senza aver potuto assaggiare nemmeno un’arancia.
Così, giurò a sé stesso che, quando sarebbe stato adulto, avrebbe realizzato un suo aranceto con tutte le qualità di arance esistenti.
E’ stato il sogno ed il capolavoro della sua vita, concretizzati all’età di 50 anni, nel 1955-56 con grandi sacrifici (pure perché era operaio e contadino ed aveva moglie e 8 figli da portare avanti).
Il suo è stato l’agrumeto più democratico di Badolato, poiché chiunque fosse andato a trovarlo, mio padre gli dava frutta in abbondanza (e più d’uno faceva “self-service” in incognito).
E tantissimi agrumi mio padre ci faceva distribuire a parenti ed amici, specialmente sotto Natale … tanto è che una Santa Vigilia sulla nostra tavola sono mancati i limoni per quanti ne avevamo distribuiti.
Ricordando le tante percosse del guardiano di questo Parco del barone Pàparo non voleva che altri, specialmente i bambini, sognassero le arance senza poterle poi nemmeno assaggiare.
6 – PETIZIONE PER IL PASSAGGIO A LIVELLO
Caro Tito, in questi ultimi tempi, su segnalazione di numerose persone di Badolato, ho cercato di far pubblicare alcuni articoli sulla necessità di riaprire il passaggio a livello, chiuso da anni.
Come accennato sopra, tale chiusura inibisce l’accesso al mare a parecchie persone, specialmente ad anziani, invalidi in carrozzina e mamme con il passeggino dei bambini, che non si azzardano a servirsi del pericoloso sottopasso, posto a circa 500 metri dall’ex passaggio a livello.
Come dimostrano le foto numero 2 e 7, la “Via del mare” passa proprio davanti alla Villa del barone Pàparo.
Quindi la chiusura di questa strada inibisce pure il piacere di costeggiare e vedere tale edificio che fa parte della Storia di Badolato da tre secoli.
Come accennavo sopra, Mimmo Procopio ed altri stanno cercando di portare avanti la rivendicazione della riapertura di tale passaggio a livello oppure della costruzione di un sottopasso pedonale che faciliti l’accesso al mare e al lungomare alle categorie fragili già evidenziate.
Una petizione che è possibile firmare in internet utilizzando i seguenti link << https://www.firmiamo.it/IT/firma-la-petizione/ripristino-accesso-al-viale-mare-dall-area-del-passaggio-a-livello-60565 >> e << https://www.facebook.com/privacy/consent/gdpr/?source=gdpr_blocking_flow >>.
L’invito è quello di firmare in massa tale appello affinché le Autorità preposte e Rete Ferrovie Italiane vogliano far superare tale ostacolo alla gente comune che non può utilizzare, con l’automobile, il sottopasso stradale.
Le barriere architettoniche sono un grosso impedimento alla vivibilità del territorio e i badolatesi non possono essere così pesantemente penalizzati.
7 – IN ONORE DELL’AMICO VINCENZO BRANCIA
Nel contesto di questa “Lettera n. 493”, sento il dovere storico e l’affettuosa esigenza di ricordare il rag. Vincenzo Brancia (1941-2023), non soltanto come amico di lunga data ma anche come validissimo manager dell’Amministrazione dei baroni Pàparo.
Infatti, Vincenzo (Cecè per gli amici) è stato per tanti decenni punta di diamante nell’amministrare i beni degli Eredi Pàparo, proprio in questa Villa-Tenuta prima e poi, definitivamente, nella sede di Vibo Valentia.
E veniva così tanto considerato di famiglia che dopo la sua morte è stato sepolto nella cappella baronale al cimitero di Badolato.
Un onore ed un privilegio mai riservati ad alcuno finora.
Nella foto qui riportata che ho gentilmente avuto dal fratello, dottore Giuseppe, e che ha fatto parte del “ricordino” dato a familiari, parenti ed amici, Vincenzo ha l’espressione serena e sorridente di sempre.
Infatti la cordialità dimostrata ed usata quotidianamente è la caratteristica più ammirevole di questo amico di tutti, così come di ogni componente la sua famiglia genitoriale.
Lo voglio celebrare come amico di famiglia, amico personale, vicino di casa, persona che era un vero piacere incontrare. Ci manca davvero tanto.
La mia più affettuosa vicinanza va anche alla moglie Anna e ai figli, oltre che a tutti i Brancia di Badolato.
8 – SALUTISSIMI
Caro Tito, come è vero che, poi, tutto ha un inizio ed una fine.
Sembrava eterna come tutte le cose belle questa Villa-Tenuta baronale che, bene o male, potevamo tutti vedere dal di dentro, quando non c’erano i padroni e quando non c’erano gli agrumi sulle piante.
E per questo dobbiamo ringraziare pure la benevolenza e l’elasticità mentale del custode don Ciccio Mottola e della sua famiglia (ma sicuramente pure degli stessi baroni che non erano poi così tanto severi).
Diciamo che sentivamo almeno un po’ più accessibile questa Villa-Tenuta. Adesso chissà come sarà con i nuovi proprietari.
E poi … verrà trasformata in un Hotel di lusso super-accessioriato?…
Nel qual caso l’accessibilità sarà quasi del tutto negata.
Oppure verrà “smembrata” da più acquirenti? … o addirittura lottizzata per farne residenze civili o per vacanza? …
Chi vivrà vedrà.
Di certo è che sta finendo un’epoca, in un modo o nell’altro.
Mi sembrava doveroso ricordarla con questa “Lettera n. 493”.
Oggi mio fratello Vincenzo compie 91 anni.
Ci teneva a superare i 90 anni di nostra madre.
Un affettuosissimo abbraccio a Lui e alla sua famiglia.
Soffro molto per la violenza che c’è nel mondo, in particolare per queste due atroci guerre che possiamo considerare quasi di “casa nostra”.
Speriamo finiscano presto e che tutti i popoli possano considerare il DISARMO TOTALE.
Noi ci siamo appuntamento alla prossima 494.
Grazie e a presto!
Cordialità,
ITER-City, Venerdì 27 ottobre 2023 ore 04.11 – Da 56 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore).
Foto presa dal web