LETTERE A TITO: UN MONUMENTO DI MEMORIA PER VITTORINA ‘A TURCHJA E IL SUO DELIZIOSO PANE AL FORNO A LEGNA DI BADOLATO
Una “mamma eroica” da rendere memorabile come altre che hanno davvero fatto l’Italia della ricostruzione post-bellica e che non hanno avuto alcun riconoscimento né dalla società civile né dalle istituzioni
di Domenico LANCIANO (www.costajonicaweb.it)
– BADOLATO (CZ) – 26 FEBBRAIO 2024 – Caro Tito, questa bella foto in bianco e nero risale al 28 dicembre 1940 e documenta l’uscita dalla chiesa dell’Immacolata di Badolato borgo (CZ) degli sposi Francescoantonio Criniti (detto Ciccantoni ‘u Solesi, Badolato 17 luglio 1921 – 09 luglio 1973) e Vittoria Nicolina Gallelli (detta ‘a Tùrchja, Badolato 05 dicembre 1922 – 16 febbraio 2008) attorniati da familiari, parenti ed altri invitati.
Da notare come le donne usavano vestire (appena 83 anni fa) quasi tutte con il costume tradizionale e la tovaglia bianca in testa, mentre i maschi indossavano una camicia con collo semplice (pochi usavano camicia con collo da cravatta).
E’ un genere di camicia detta “a collo di prete” che ancora viene generalmente usato in Iran e in alcuni altri Paesi islamici.
C’è più di un motivo per cui (con questa “Lettera n. 518”) intendo ricordare Vittorina ‘a Tùrchja (ovvero la turca), maritatasi all’età di 18 anni come mia madre e come tante ragazze della loro epoca. Il primo motivo riguarda il suo essere stata irripetibile “artista del pane” casareccio tradizionale badolatese. Il secondo, perché ha fatto davvero tantissimi sacrifici nell’avere e nel crescere numerosi figli, somigliando pure in questo a mia madre (che ne ha avuti undici come Lei) e a tante altre donne badolatesi e del mondo contadino e rurale di un’Italia che fu e che non sarà mai più.
Ho avuto il piacere di conoscerLa, fin dai primi anni sessanta quando, a settembre 1962, la mia famiglia si è trasferita dal casello ferroviario di Cardàra all’Ina-Casa di Badolato Marina. E ammiravo quel suo “eroismo familiare” e il suo “stakanovismo” incessante nel lavoro senza respiro per contribuire a portare avanti la sua numerosa famiglia (“i figghjolehy mei” diceva) assieme al simpatico marito, purtroppo poi deceduto improvvisamente e prematuramente a soli 52 anni.
Una “mamma eroica” da rendere memorabile come altre che hanno davvero fatto l’Italia della ricostruzione post-bellica e che non hanno avuto alcun riconoscimento né dalla società civile né dalle istituzioni. Adesso voglio io dedicarLe un “monumento di memoria” cominciando a ricordarla come ineffabile “artista del pane di casa” che per la mia generazione è stato assai importante, specialmente per il sapore ed il gusto, ma anche per tutto l’affetto materno e familiare che c’era dentro.
Il significato sacro che aveva (e continua ad avere) per noi il pane, così come l’olio e (poi da adulti) il vino. Elementi primordiali della nostra civiltà rurale ed etica oggi messa in discussione e addirittura disgregata dalla cattiva globalizzazione, specialmente con il folle spopolamento che desertifica borghi e campagne.
Infatti, voglio sperare che la nostra non sia l’ultima generazione che si sia beata nel mangiare soltanto pane condìto con il nostrano olio extravergine d’oliva. Pane e olio semplice o con tutte le sue varianti. Una di queste varianti (pane condito con olio, pomodoro, origano e sale) era così tanto deliziosa che sembrava di andare in Paradiso. Era la merenda preferita da noi bambini, così come la “pitta con l’olio” allorché le nostre mamme infornavano il pane settimanale.
Quando i nostri padri andavano a lavorare e restavano via tutto il giorno, le nostre mamme preparavano loro il “pranzo” a base di pane (a volte pure demollicato) imbottito con i resti della cena della sera precedente oppure con ogni sorta di prelibatezze a base di verdure, ortaggi, formaggi, pezzetti di carne e così via … ovviamente ben condito con olio d’oliva di casa. Quando mia madre faceva il pane, infornava pure alcuni pezzi più piccoli (quasi una monoporzione) chiamata “schjacciateyha” (piccolo pane schiacciato) proprio per il pranzo di mio padre quando andava a lavorare lontano e non poteva tornare a casa per mangiare.
Questo pane schiacciato monoporzione ho ritrovato, molto simile al nostro, in quel “pane cunzàto” che è ancora in uso in alcune parti della Sicilia, specialmente a San Vito Lo Capo e dintorni. Ne vado matto. Saporitissimo. E’ la prima cosa che mangiavo come colazione, appena sbarcato dal traghetto di mattina presto a Palermo, quando andavo per partecipare all’annuale e settembrina “Festa del Cous Cous” a San Vito (in provincia di Trapani).
Cose semplici di una volta che mantengono i sapori della nostra tradizione. Infatti il “pane cunzato” (o conzato o acconzato, cioè ben condito e/o farcito) esisteva pure da noi in Calabria. In un certo senso “pane conzato” potrebbe essere considerato il “calzone” oppure “il morzello” di Catanzaro.
Da mangiare a tutte le ore oppure a metà mattinata. E’ una colazione un po’ impegnativa, poiché per consumarla e degustarla bene è necessario sedersi, per potersi beare adeguatamente, accompagnandola con un buon bicchiere di vino (per i profani, basta pure una birra). Potrebbe essere un piatto forte pure turistico (anche come cibo di strada) a tutte le ore del giorno e della notte, pure sullo Jonio, riprendendo la nostra tradizione (ormai dimenticata). Il segreto di un “pane conzato” è l’olio extravergine d’oliva che inzuppi e insapori bene il pane ed amalgami meglio i vari componenti della farcitura, che potrebbe o dovrebbe essere personalizzata (cioè a proprio gusto).
Ricordo che, a Catanzaro Lido, quando frequentavo i tre anni della scuola media, la signora del negozio di alimentari che stava proprio di fronte la stazione FS, mi preparava un delizioso e strepitoso “pane acconzato” con tonno all’olio d’oliva e altri deliziosi componenti del condimento (“conzi” appunto). Una beatitudine che ricordo ancora con grande nostalgia (a parte i rimpianti di quella magnifica età).
1 – SAGRA DEL PANE CONZATO E DELLA BRUSCHETTA
A mio modesto parere, a Badolato (ad esempio) potrebbe avere tanto successo una vera e propria “Sagra del pane conzato” o “acconzato” … una sagra permanente per tutta la stagione estiva da giugno ai primi di settembre. Sarebbe un disimpegno per tutti (turisti e residenti) per colazione mattutina, pranzo, merenda e cena. Provare per credere. Il pane dovrebbe essere preferibilmente quello del tipo fatto in casa, con una speciale ricetta degli antichi sapori.
E il condimento potrebbe essere standard o su domanda del fruitore. In Sicilia ci sono già da molti anni queste “Sagre del pane cunzato” e pare che vanno molto bene se ormai si rinnovano da parecchi anni. Alcune manifestazioni ci aggiungono il ballo in piazza o altre attrazioni e divertimenti. Gioia per il corpo e per l’anima.
Tale “Sagra del pane conzato” potrebbe essere abbinata alla “Sagra della bruschetta” e a tanta musica, specialmente popolare. E’ ormai tanto tempo che vado proponendo per Badolato e dintorni una “Sagra del pane conzato” e una “Sagra della bruschetta”. In particolare (e a dire il vero) cerco di proporre la “Sagra della bruschetta” già dagli anni ottanta, da quando cioè sollecito di realizzare un Consorzio tra produttori di olio d’oliva di Badolato e dintorni con un marchio unico per poter meglio commercializzare questo prodotto che qualifica il nostro territorio.
Infatti Badolato era conosciuto (fino a qualche decennio fa) proprio come grande produttore e venditore di ottimo olio e di ottimo vino. Come ricorderai, ho dedicato pure alcuni articoli (nei decenni precedenti) alla proposta di realizzare l’etichetta e il marchio di “BADOLATO – Vino di scoglio” che è il migliore della costa jonica. Un vino di nicchia (per via delle poche e selezionate coltivazioni) ma che potrebbe diventare “CALABRIA – Vino di scoglio” se le coltivazioni selezionate fossero presenti in altre località dove esiste lo scoglio collinare, quel particolare terreno scoglioso dove sia l’uva che l’ulivo (e altri tipi di coltivazioni) crescono e rendono meglio.
Una “Sagra della bruschetta” servirebbe innanzitutto proprio per fare assaggiare l’olio locale e farlo acquistare direttamente lì sul posto in tale manifestazione oppure nel frantoio o nel catojo. L’olio d’oliva è richiestissimo, spesso anche a prezzi alti pur di poter utilizzare per il proprio cibo un alimento garantito e genuino (viste i troppi imbrogli e le sofisticazioni sempre più nocive).
2 – IL PANE DI CASA DI VITTORINA A TURCHJA
Caro Tito, parlando di pane, mi è venuta in mente Vittorina ‘a Tùrchja (la turca), ovvero la predetta Vittoria Nicolina Gallelli (1922 – 2008), la quale negli ultimi decenni della sua vita si era messa a fare il pane (nel forno rionale della Maiolina, ovviamente in Badolato Marina, Via Nazionale, all’altezza dei numeri civici 122-124) non soltanto per la propria numerosa famiglia ma anche per le altre che lo richiedevano. Lo acquistavo pure io perché il suo era squisito proprio come quello che facevano tutte le mamme tradizionali e come aveva già fatto mia madre quando era in salute.
Ricordo un particolare. Sarà stato il 12 o il 13 settembre 1973 (oltre 50 anni fa) e Vittorina aveva 51 anni. Era appena pervenuta la drammatica notizia che in Cile il generale Augusto Pinochet aveva fatto un sanguinoso colpo di Stato, rovesciando il legittimo Presidente della Repubblica Salvador Allende (1908-1973), democraticamente eletto, interrompendo così una tradizione democratica elettiva che durava, bene o male, da parecchio tempo.
Quel forno pubblico rionale aveva una parente nera di fuliggine. Mentre aspettavo che Vittorina estraesse i pani dal forno, ho inciso con una canna quella fuliggine scrivendo CILE. E Vittorina mi chiese: “Perché hai scritto CILE” ?… Le risposi: “Perché i fascisti cileni, su ordine degli Stati Uniti, hanno cacciato il governo democratico, uccidendo il Presidente della Repubblica e imprigionando migliaia e migliaia di progressisti”.
E, Lei in puro dialetto badolatese: “Chimmu u spariscianu na vota pe’ sempa da faccia ‘e sta terra sti fascisti rovinamùndu” (Possano sparire una volta per sempre dalla faccia della terra questi fascisti rovina-mondo). Lei ce l’aveva con i fascisti, pure perché gli avevano “rubato” il marito (appena appena sposato) chiamato malvolentieri a combattere nella seconda guerra mondiale con il concreto rischio che morisse (infatti si salvò per miracolo).
3 – VITTORINA LA STAKANOVISTA
Un paio di settimane fa (lunedì 12 febbraio 2024) ho avuto modo di parlare brevemente con Marina, una delle figlie di Vittorina ‘a Tùrchja. Dopo i saluti, le ho sùbito detto di fare qualcosa (assieme agli altri familiari) per ricordare la madre, che è stata davvero una mamma eroica, una vera stakanovista che io ho sempre ammirata e grandemente stimata fin da quando, ragazzino, andavo alla sua piccola bottega di alimentari a comprare qualcosina di dolce. Fin da allora vedevo Vittorina alle prese con alcuni dei suoi figli più piccoli che Le si aggrappavano addosso.
Già da allora mi meravigliavo di come riuscisse a districarsi tra una numerosa ed esigente famiglia e quell’impegnativo lavoro che durava tutta la giornata. Rosa, la sua prima figlia, era stata mia compagna di classe alle scuole elementari. Morì ad appena 14 anni; si disse per un semplice intervento chirurgico (forse sbagliato) di appendicite.
Me ne dispiacque veramente tanto, poiché Rosa era bravissima, sempre solare e sorridente. Pietro, altro figlio di Vittorina, è stato mio compagno di scuola materna e risulta essere ancora tra la mia ristretta cerchia di amici d’infanzia e di adolescenza. Ma, quando abitavo a Badolato, ero amico di tutti i suoi figli, dal più grande al più piccolo. Tutti belli, sani, energici, cordiali, sorridenti e maestosi. Così pure i nipoti.
Marina, insegnante elementare, ha alcuni anni meno di me e la ricordo sempre simpaticissima fin da bambina. Quel pomeriggio dello scorso 12 febbraio mi ha detto che la madre ha lasciato una specie di diario, molto interessante. Certo, un documento davvero inusitato, autentico ed originale per una donna dalla numerosa prole e dall’esistenza assai estenuante. Le ho immediatamente proposto che ero disposto a pubblicarlo qui, in queste nostre “Lettere”.
Intanto, La voglio omaggiare adesso, perché mia madre così come Vittorina ‘a Tùrchja è stata donna prolifera e di infinite traversie esistenziali, per via dei tantissimi sacrifici affrontati per crescere 11 figli e dovendosi dedicare pure a lavori molto impegnativi. Non so come abbiano fatto. Ma una volta era la norma avere una numerosa famiglia (a volte oltre gli 11 figli).
4 – LA BOTTEGA DI ALIMENTARI COME … UFFICIO ANAGRAFE
Uno dei ricordi più vivi che ho di Vittorina è quando, nei primi anni sessanta, era solita distribuire (con infinita pazienza, nella sua bottega di alimentari) numerosi certificati anagrafici agli abitanti di Badolato Marina che ne avevano fatto richiesta al Comune, evitando loro così di recarsi a Badolato Superiore dove c’era il Municipio. Infatti, allora la burocrazia italiana richiedeva una infinità di certificati rilasciati dai vari uffici comunali per qualsiasi esigenza e ancora non c’era la Delegazione Municipale che potesse fare tale adempimento e distribuzione.
Il figlio maggiore Antonio, neo-assunto al Comune, portava questi certificati alla mamma così veniva agevolata la popolazione. Ah, quante ne ha fatte, Vittorina!… Non soltanto altruismo di madre, ma anche altruismo sociale. L’ho sempre ammirata pure per questo. Tale negozio di alimentari era stato ricavato in una stanza dell’alloggio popolare (posto a piano terra) che lo Stato aveva assegnato alla sua famiglia (nella primavera del 1952) per essere rimasta senza casa a sèguito della disastrosa alluvione del 17 ottobre 1951.
Infatti, l’allora Capo del Governo, Alcide De Gasperi, era venuto a Badolato Marina lunedì mattina 24 marzo 1952 per consegnare le chiavi dei primi 78 appartamentini (sugli oltre 330 previsti) destinati ai senza-tetto. Tale data segna la nascita ufficiale della frazione Marina, destinata, nei decenni, ad assorbire quasi tutti gli abitanti di Badolato borgo, diventando così una piccola cittadina. Questi 78 alloggi erano stati costruiti in piccole palazzine a schiera, a ridosso della stazione ferroviaria verso il passaggio a livello; e per questo era denominato “quartiere stazione”.
La bottega di Vittorina era proprio sulla strada Nazionale o Strada Statale Ionica n. 106 (vicino all’odierno Bar Centrale, l’ex Bar Staiano, l’unico di quegli anni, al centro del nuovo paesino, a poco meno di duecento metri dall’unica chiesa, dalla stazione e dalla piazza principale). Una curiosità: il palco che ha ospitato De Gasperi quel 24 marzo 1952 era addossato proprio alla parete di quella che sarebbe stata la casa della famiglia di Vittorina e Ciccantonio Criniti.
E, a 70 anni da quell’evento, nella primavera 2022 l’Associazione Nicola Caporale (alla presenza di alcuni sindaci di altre Marine joniche che avevano avuto eguale destino) ha dedicato alla nascita ufficiale di Badolato Marina una bacheca-monumento (come nella foto).
5 – LA NUMEROSA FAMIGLIA
Francescoantonio Criniti era nato e cresciuto nel rione Mancuso di Badolato, in Via Santa Caterina, vicino all’omonima e più antica chiesa del borgo. Vittorina apparteneva, invece, al rione Santa Maria, nata e vissuta nei pressi dell’omonima chiesa, in Via San Leonardo, dove è andata a sistemarsi la nuova coppia di sposi dopo il matrimonio del 28 dicembre 1940. Poi l’alluvione del 1951 e il trasferimento dalla primavera 1952 nel nuovo alloggio popolare della frazione Marina.
Il loro grande amore ha prodotto undici figli: (7 maschi) Antonio (+), Domenico (+), Pietro, Nicola, Roberto, Bruno e Massimo e (4 femmine) Caterina (+), Rosa (+), Iole e Marina. Purtroppo, la primogenita Caterina è morta dopo la nascita, così come mia madre ha perso la primogenita Domenica che aveva due mesi.
A quei tempi, la mortalità infantile era frequente. Un altro grave lutto ha dovuto poi sopportare Vittorina, quando ha perso Rosa (quella mia compagna di classe) che aveva 14 anni. In questa foto del Carnevale parrocchiale del 1958 è la bambina vestita da fatina con il cappello a punta. Il monaco che si vede in tale fotografia è Padre Gabriele Barzi, un francescano veneto che è stato molto amato, anche se è rimato pochi anni a Badolato Marina.
Verso la fine degli anni sessanta, la numerosa famiglia Criniti si è trasferita nella nuova casa (dentro al palazzo di cinque piani in costruzione) del rione Maiolina (il più a nord), sulla via Nazionale al numero civico 136, dove ha aperto un bar, frequentatissimo specialmente da giovani (Bar Tre Ancore poi denominato Bar Solesi). Ad appena 50 metri da questa casa c’è un forno rionale dove Vittorina andava a cuocere il suo famoso “Pane d’Autore”.
Tra le gioie, questa infaticabile donna ha visto sposarsi e sistemarsi bene tutti i figli e arricchire la casa di tanti nipoti e pronipoti. Francescoantonio e Vittorina, con i loro tanti sacrifici, hanno fatto studiare tutti i figli, dai quali hanno avuto grandi soddisfazioni, pure perché hanno seguìto il loro esempio di grandi lavoratori fin da ragazzini.
6 – DIECI ANNI A BOLOGNA
Vittorina, ad un certo punto, all’età di 72 anni decise di emigrare in Emilia-Romagna seguendo i figli giovani che si erano trasferiti lì per motivi di studio e lavoro. Da cittadina cosmopolita che era, nonostante avesse vissuto sempre in un piccolo paese, decise di vivere da sola per 10 anni nel centro di Bologna. Ritornò a Badolato da 83enne, nel 2005/06, e dopo due anni morì nella sua casa di Via Nazionale attorniata dagli affetti di figli e nipoti che tanto hanno amato il suo pane, le sue pitte, i suoi maccheroni e gnocchi fatti in casa. Anche a Bologna non si esonerò dal lavorare, nonostante l’età avanzata, aiutando i figli e creandosi una nuova cerchia di affetti.
Quasi sicuramente a Bologna avrà mangiato altri tipi di pane, non potendolo fare lei stessa al forno a legna; pane fatto con farine di tipo industriale, mentre per il suo pane usava solo farine nostre locali garantite in qualità “a chilometro zero” (come si dice adesso). Chissà cosa avrà pensato!… E chissà cosa penserebbe adesso nell’apprendere (dal dibattuto attuale e dalle polemiche anche parlamentari) che le farine per il pane ed altri prodotti da forno contengono (per leggi europee) pure muffe e vermi da lunghi stoccaggi di grano proveniente dai grandi fornitori mondiali come Canada, Ucraina, Australia, Russia, ecc. ecc. e trasportato in stive di navi non perfettamente igienizzate!…
Oppure, addirittura, come si vocifera, farine radioattive e/o contenenti ogni genere di insetti (sarà vero?). Comunque non è più il grano di una volta!… Noi vivevamo nel lusso (almeno per aria, acqua e altri prodotti nostrani veramente genuini) mentre adesso siamo in balìa di chissà che tipo di ingredienti industriali, provenienti da ogni parte del mondo, dove non c’è alcuna garanzia. Ed è questo pure uno dei tanti motivi che stanno alla base delle attuali proteste dei “trattori” (agricoltori) in tutta Europa. Ah, la globalizzazione!
7 – TURCHI ED EBREI ED ALTRE ETNIE
Come abbiamo documentato in altra occasione, nel borgo medievale di Badolato c’era una “Via degli Ebrei” poi denominata “Via Corsica” nel 1939 come una delle tante conseguenze delle leggi razziali fasciste emanate il 10 novembre 1938. E c’è ancora il soprannome di “breu” (ebreo) per alcune famiglie. Così come esiste quello di “turchju” (turco) per altre, cui appartiene Vittorina, soprannominata, appunto “a Turchja” (la turca).
Evidentemente Lei è l’erede di qualche soldato o pirata turco rimasto a Badolato, dopo essere stato catturato in occasione di una scorreria predatoria nel nostro territorio. Una tradizione orale, raccolta da alcuni anziani negli anni settanta, dice di alcuni badolatesi presi prigionieri durante una di queste azioni predatorie e portati ad Algeri. D’altra parte, tutto il Sud Italia, in particolare la Calabria, negli ultimi quattromila anni, ha visto popolarsi di migranti in fuga, ieri come oggi, da Paesi dove era impossibile vivere per la tirannia dei loro regnanti, per guerre o povertà estrema.
Infatti, nella Badolato da sempre multietnica, tra tante altre, ci sono famiglie dalla chiara e antica provenienza araba, sia come caratteristiche somatiche che come cognomi (ad esempio, la famiglia “Nàimo” da Naìm maschile o Naìma femminile, significa “il delicato”). Tutto ciò è il lascito delle innumerevoli immigrazioni, dominazioni, colonizzazioni e accoglienze che si sono avvicendate nei secoli (infatti ci sono numerosi cognomi di origine greca, ma anche francese, spagnola, di altre regioni italiane, ecc. ecc.).
Alcuni parenti di Vittorina (pure loro denominati “Tùrchj”) frequentavano la mia natìa contrada Cardàra (dove abitavo nel casello ferroviario) per coltivare i campi; Vincenzo, Cosimo e Antonio “i Turchj” (tre nipoti diretti di Vittorina) erano tra i miei più evidenti amici estivi. Vincenzo e Cosimo sono poi emigrati in Svizzera e Antonio negli Stati Uniti.
La Storia della Calabria (così come del nord, del centro e del sud Italia) è ricca di tali vicende, poiché i pirati turchi (o islamici in genere) erano quasi sempre pronti a fare scorrerie sulle nostre coste razziando campagne e borghi, che i vari regnanti avevano cercato di fortificare con un sistema di torri di avvistamento ancora visibili lungo tutte le coste specialmente dell’ex Regno di Napoli, dall’Abruzzo fino alla Sicilia su Adriatico, Jonio e Tirreno. Pure Badolato aveva la sua “torre cavallàra” sul Monte Manno vista-mare (oggi non più esistente) e una torre campanaria al borgo costruita nel 1539 (dimezzata nel 1936 e restaurata nel 2001) le cui campane allertavano pure tutti i paesi attorno in caso di minaccia proveniente dal mare.
“Allarmi allarmi la campana sona, li turchj su’ sbarcati alla marina” (Allarmi allarmi la campana suona, i turchi sono già sbarcati in marina).
Oggi cominciano ad affermarsi soprannomi di immigrati come “marocchino” (perché proveniente dal Marocco), “rumeno” (dalla Romania) e così via. La Storia si ripete.
8 – QUANTO E COSA SI E’ PERSO BADOLATO CON IL MIO ESILIO
Caro Tito, nato in una famiglia di umili lavoratori (operai e contadini), ho sempre avuto particolare attenzione per chi la vita se l’è sudata più di tutti gli altri. Ho vissuto in mezzo ai contadini e ai braccianti di Cardàra e quindi so come e quanto abbiano sofferto per sopravvivere nei difficilissimi tempi dell’immediato dopoguerra, poi pure con la massiccia e dolorosa emigrazione.
Perciò, prima con la tesi di laurea e poi in altre occasioni, ho voluto studiare meglio la società ed il popolo badolatese, pure per capirne soprattutto l’etica e l’epopea. E (oltre a fare continue attività promozionali fin dall’adolescenza a favore di Badolato e interzona) mi ero ripromesso di evidenziare le persone più emblematiche che hanno caratterizzato la nostra comunità paesana. Lo sentivo come esigenza di giustizia.
Purtroppo, l’esilio (con cui sono stato alienato dal “sovietismo badolatese”) non mi ha permesso di realizzare una rassegna di personaggi (tra cui, appunto, Vittorina a Tùrchja) che fossero pure di esempio per le presenti e le future generazioni. Mi sono dovuto limitare a scrivere e pubblicare soltanto il “Libro-Monumento per i miei Genitori” (che, in un certo senso, vale pure per celebrare l’intero mondo badolatese dei lavoratori più epici e significativi). Tuttavia, Badolato avrebbe meritato di più, molto di più; ma fino a non molto tempo fa abbiamo avuto amministratori comunali allergici alla Cultura, persino locale e sulle loro stesse imprese storiche nelle lotte popolari del dopoguerra.
Con il mio ostracismo ed allontanamento da Badolato, questo paese e sicuramente pure i più immediati dintorni hanno perso davvero uno stakanovista della sua promozione a 360 gradi e delle sue memorie storiche, sociologiche o semplicemente umane. Mi spiace che questo piccolo tributo a Vittoria Nicolina Gallelli appaia in forte ritardo sul previsto e in modo incompleto (sia per la mia lontananza sia per le forze che mancano). Basta vedere le innumerevoli attività prodotte in questo sito web (con tale rubrica fin dal 4 ottobre 2012) e i tanti libri pubblicati e fatti pubblicare in Molise per capire quanto e cosa si è perso Badolato.
Dove avrei potuto fare davvero di tutto e di più, ispirato dall’immenso amore verso la mia gente che, purtroppo, non ha goduto di quelle attenzioni sociali che meritava. La cattiva politica ha tolto ai badolatesi più di quanto non abbia dato alla fin fine, al netto di retoriche ed autocelebrazioni.
Basta considerare che a Badolato borgo, attualmente, dormono 148 persone mentre 73 anni fa, nel 1951, i residenti censiti effettivamente come dimoranti erano 4.842 ovvero una perdita di ben 4.604 persone …. con il rischio che presto tale borgo (che ha resistito per mille anni) verrà praticamente azzerato come abitanti e rischia di sgretolarsi pure come patrimonio edilizio ed artistico.
Tutto ciò, pur valutando il fatto che in Badolato Marina vivano meno di tremila persone, come ha evidenziato il periodico “La Radice” nel suo fascicolo n.3 del 31 dicembre 2023 (anno 29).
A conclusione di questo paragrafo n. 8, non posso passare sotto silenzio il fatto (lamentato numerose altre volte e numerose altre volte precisato sia individualmente che pubblicamente, tramite stampa) che ci sia ancora qualcuno che, quando viene intervistato da giornali e TV, omette di fare riferimento alla vicenda di “Badolato paese in vendita” come primo atto della tentata rivitalizzazione di Badolato, cui è seguìto dopo dieci anni l’altra vicenda (quella dell’accoglienza ai profughi curdi della nave Ararat nel 1997-2001) e poi ancora l’attuale attività promozionale dovuta al merito di singole persone, di associazioni culturali e di aziende economico-immobiliari più specifiche e finalizzate.
Bisogna ancora una volta ribadire, quindi, che tre sono storicamente (finora) i momenti promozionali della attuale rivitalizzazione di Badolato borgo: primo il “paese in vendita” (1986-88), secondo la “accoglienza ai curdi” (1997-2001) e terzo le “attività associative e immobiliari” (dal 2002 in poi).
Non riconoscere la vicenda del “paese in vendita” è un’azione di autolesionismo poiché toglie a Badolato il primato nazionale ed europeo nella lotta allo spopolamento, un modello imitato poi sia in Italia che all’estero.
Chi insisterà a negare d’ora in poi … vorrà dire che agisce in cattiva fede. Ribadisco: per piacere, non nominate me per il “paese in vendita” ma tutto Badolato; però non togliete a questo paese il merito di avere agito per primo (dal 07 ottobre 1986) nella lotta contro lo spopolamento di borghi e ruralità. Non sarebbe né onesto né opportuno o vantaggioso per la nostra comunità!…
9 – DAL PANE DI MARIA A QUELLO DI FRANCESCA E DI P. CELESTINO
Maria è una badolatese purosangue da generazioni però, per motivi familiari e di lavoro, è dovuta andare ad abitare in un altro paese del nostro Golfo di Squillace. E’ una professionista laureata e molto affermata con un importante ruolo pubblico e molto impegnativo.
E’ mamma prolifica e nonna felice; ma non disdegna di fare le cose che fanno tutte le famiglie contadine: si fa l’orto, raccoglie le olive e fa l’olio al frantoio, le conserve, gli insaccati di maiale e quanto altro. Ha mantenuto tutte le genuine tradizioni dei suoi genitori e trova persino il tempo per fare il pane casareccio, la pizza ed altre squisitezze cotte al forno a legna che si è fatto nella taverna di casa … per la gioia di figli, nipoti e di qualche famiglia amica.
Proprio venerdì scorso 23 febbraio (alle ore 10.45) mi ha mandato il seguente messaggio, cui ha allegato alcune fotografie: << Sto facendo il pane. Mi sono ricordata che sei stato tu a darmi l’idea di farlo con farine diverse perché anni fa mi hai regalato un pane ai sette cereali. Da allora, magari non sette, ma quattro o cinque le metto insieme. Risultato: un sapore molto buono e particolare che (alcuni mi dicono) si può gustare anche da solo (pana asciuttu) quasi come il pane delle nostre mamme >>.
Caro Tito, ti racconto questo episodio per tre motivi. Il primo, per dimostrarti come e quanto mi piace il pane ricco di gusto, del tipo casareccio preferibilmente, come, appunto, lo facevano le nostre mamme e come lo faceva “Vittorina ‘a turchja” (un pane epico ed indimenticabile, ormai purtroppo non più replicabile); in mancanza di questo rivolgo la mia attenzione al pane ai sette cereali, quando disponibile dal mio fornaio di fiducia (meglio se adornato con innumerevoli semi di sesamo).
Secondo, perché c’è Francesca, una amica di famiglia di lungo corso la quale abita a Caserta e, quando viene a trovarci o quando andiamo noi da lei, ci fa sempre il prezioso, gustoso e graditissimo dono del “pane tipico campano” (fatto con ingredienti tradizionali e cotto al forno a legna) … al 90% è tale e quale come quello delle nostre mamme. Personalmente non so fare a meno del pane, possibilmente tradizionale e cotto al forno a legna. Se è saporito come quello della nostra infanzia e giovinezza non chiedo di più dalla vita. Infatti, sono solito accontentarmi delle cose tradizionali e genuine. Per me questo tipo di pane casareccio tradizionale ha un valore anche spirituale e sacro.
Lo definirei PANE ETICO perché porta con sé tutta l’umiltà etica della nostra gente. Un’ultima cosa. C’è ancora chi bacia il pane prima di mangiarlo o quando ne conserva i resti. Non si butta nemmeno un solo tozzo di pane, ma lo si utilizza in altro modo. Invece nella società consumistica si butta una quantità sacrilega di pane e di altri alimenti. Da noi il pane è sacro come l’olio extravergine d’oliva di nostra produzione e come il vino di famiglia.
E’ sacro tutto il resto, frutto del proprio sudore; però questi tre alimenti hanno la priorità, poiché sono la base irrinunciabile della vita e della pace familiare. Riguardo la sacralità del pane, al seguente paragrafo 10, ti dirò di “Spezziamo il pane” del missionario francescano cappuccino Padre Celestino Ciricillo (Sant’Elia a Pianisi CB 20 dicembre 1926 – Agnone IS 30 maggio 1996).
Personalmente sono l’uomo più felice del mondo quando posso mangiare semplicemente pane e olio puro (d’oliva calabrese o di altra regione) oppure pane e cipolla dolce (rossa di Tropea) o anche pane e pomodoro. Sono i miei pasti preferiti (a parte gli spaghetti al sugo semplicissimo). Mangiando questo cibo assai sobrio è come se pregassi, come se ogni volta facessi una utile “meditazione spirituale” … come se mi collegassi eticamente a tutti i poveri del mondo che si accontentano di poco e a quelli che non hanno nemmeno un cibo così basilare ed essenziale. Preferisco pochi cibi e semplicissimi, come gli spaghetti o altra pasta poco condita.
Sarei capace (come ho fatto da studente universitario) di campare soltanto con un piatto di spaghetti ed un caffè (mattina a colazione, a pranzo e a cena). Purtroppo sono astemio e, quindi, non bevo vino, altrimenti chiuderei un cerchio etico e sacro. Non mi piace nemmeno il latte da solo, altrimenti ne berrei litri al giorno. Riesco a berlo soltanto miscelato con caffè.
10 – SPEZZIAMO IL PANE MISSIONARIO ED ETICO
Quando si tratta di “pane” (inteso pure come cibo) non si può fare a meno di pensare a coloro i quali non ne hanno affatto o non ne hanno a sufficienza. Tra tanto altro, pensiamo a quanto sta succedendo nelle tragiche zone di guerra in Ucraina e ancora di più in Palestina!… Come ti ho appena accennato al paragrafo precedente, ho conosciuto qui in Agnone, verso i primi anni novanta, il sacerdote padre Celestino Ciricillo e la sua collaboratrice medico Elisa D’Onofrio (Poggio Sannita IS 09 dicembre 1938 – Roma 07 settembre 2023) di ritorno da decenni passati in Ciad (Africa centrale) come missionari a Bebedjià, una zona semidesertica a seicento km a sud dalla capitale N’Djamena.
Le cose che mi hanno raccontato ci dovrebbero far vergognare della nostra situazione di società abbastanza benestante e, in alcune aree occidentali (italiane ed europee o americane, ecc.), addirittura ricche ed opulenti. Ci vuole veramente un minimo di riequilibrio tra gli esseri umani. E ci sono i classici ricchi Epuloni e chi non ha accesso nemmeno alle molliche che cadono dalla loro mensa. Martedì 05 maggio 2015 ho raccontato la sua storia con << https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-115-lafrica-di-padre-celestino-ciricillo/ >> mentre ho dedicato a Lui e ad Elisa le pagine 236-238 del sesto volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori (stampato nel maggio 2007).
Sono stato vicino sia a padre Celestino che alla dottoressa Elisa, quando, tornati ad Agnone, hanno qui fondato la C.A.S.A. – Cooperazione Attività Sociali ed Assistenziali, un Centro Missionario Diocesano che si è occupato dei cosiddetti “ultimi” e altre persone in forte difficoltà, specie sanitarie. In particolare padre Celestino mi ha raccontato tante cose, pure per farmi capire la vera povertà che c’è nel mondo, ed anche alcune ambiguità della stessa Chiesa Cattolica che non assolve pienamente alla sua missione cristiana.
In parte erano cose che già mi avevano raccontato altri missionari, come il sacerdote Battista Battaglia di Marcedusa, il fratello di mia cognata Ines che aveva trascorso quasi una vita in Madagascar E, per far capire l’importanza della condivisione pure ai suoi benefattori e a chi lo seguiva spiritualmente, diffondeva un giornaletto di sensibilizzazione dall’emblematico titolo “Spezziamo il pane” per invitare alla massima condivisione, pur essendo coscienti che non verranno più i tempi in cui alcune antiche società mettevano in comune tutto, dal cibo al lavoro, dalla gioia delle feste al dolore del lutto.
Voglio ricordare, seppure brevemente, l’esperienza storica dei tempi e delle leggi di re Italo, il quale fondò la prima Italia proprio nella nostra Calabria (3500 anni fa) realizzando pure i “sissizi” ovvero i pasti comuni e, per essere riconoscenti al bue che aiutava nell’aratura dei terreni, quelle comunità italiche cuocevano il “bue di pane” …
Tale tradizione è giunta fino a noi. Le mamme della nostra generazione facevano la “vaccarella di pane” per noi bambini ad ogni infornata. Tale tradizione viene rinnovata ogni anno, ancora adesso, nel vicino paese di Spadola (VV) nelle Serre Joniche (a 25 km di distanza da Badolato).
Il bue di pane significava, per gli antichi Itali, che non bisognava sacrificare o mangiare animali perché sono nostri fratelli (vedi come tratta l’argomento il filosofo Salvatore Mongiardo nei suoi scritti pitagorici e nel suo sito << www.salvatoremongiardo.com >>).
11 – STA NASCENDO UNA NUOVA RESTISTENZA?
Caro Tito, mi sembra importante segnalarti il seguente avvenimento e il conseguente significativo gesto. Pure facendo riferimento all’antifascismo di Vittorina “a Tùrhja” (accennato sopra al paragrafo 2).
Questa mattina (domenica 25 febbraio 2024 alle ore 11.49) un amico mi ha inviato la foto delle due tessere appena avute dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) cui si è iscritto lui e la moglie per il seguente espresso e chiaro motivo: “Contro i manganelli agli studenti!” (per i quali ha protestato persino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi).
“L’autorevolezza della Polizia non si misura con i manganelli, specialmente contro dei ragazzi!” (pare che abbia detto Mattarella); vedi << https://www.rainews.it/articoli/2024/02/studenti-manganellati-a-pisa-e-a-firenze-le-opposizioni-chiedono-a-piantedosi-di-riferire-in-aula-de50503d-6587-4397-a3be-0e96d9c3057f.html >>.
I deprecabili episodi della Polizia che manganella molto violentemente giovanissimi studenti si sono verificati, venerdì mattina 23 febbraio 2024, a Pisa e a Firenze nel contesto di un pacifico corteo-manifestazione di studenti a favore della Palestina. Ovviamente hanno protestato un po’ tutti per le manganellate … dai Sindacati ad alcuni Partiti, da associazioni studentesche a varie istituzioni e persino la Diocesi. Tutti i partiti governativi, taluni commentatori e altre associazioni hanno difeso la Polizia.
Immagino che le contrapposte polemiche siano destinate a durare a lungo. Comunque sia, mi ricordo che alcuni amici non ancora sindacalizzati si erano iscritti al Sindacato della CGIL, ricevendone la tessera, immediatamente dopo che alcuni gruppi di estrema destra avevano assaltato, sfondato il portone d’ingresso, distrutto e saccheggiato il piano terra della Sede nazionale della CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro di Roma in Corso d’Italia n. 25 nel pomeriggio di sabato 09 ottobre 2021. Forse, con tutte questi nuovi tesseramenti, si sta organizzando una nuova Resistenza al neo-fascismo?… Intanto annoto queste adesioni motivate chiaramente contro la violenza politico-istituzionale.
12 – SALUTISSIMI
Caro Tito, a conclusione di questa “Lettera n. 518”, sento il dovere di ringraziare tutte le mamme, come le nostre (appartenute alle passate generazioni novecentesche), le quali hanno dato molti figli alla società. Un grazie pure ai nostri papà che, insieme alle nostre mamme, hanno dato a noi figli quella sana educazione etica che ci ha salvato l’anima in questo mondo assai difficile.
Un grazie particolare alle nostre mamme che ci hanno donato il miglior “pane quotidiano” possibile e immaginabile.
Ringrazio pure Vittorina ‘a Tùrchja per avermi dato la possibilità di gustare il suo pane casareccio cotto al forno a legna, quando mia madre, per motivi di salute, non era più in grado di fare. Ma la ringrazio pure per aver significato davvero molto nella nostra comunità badolatese.
Merita pienamente questo “monumento di memoria”! Ringrazio tanto e di vero cuore il nipote dott. Guerino Nisticò qui nella foto (figlio del compianto Franco e di Iole Criniti) per avermi aiutato nella redazione di questa lettera e mi ha fornito pure alcune foto. Lo ringrazio anche perché nelle interviste giornalistiche e televisive ricorda sempre la vicenda di “Badolato paese in vendita” come prima occasione di rivitalizzazione del borgo ed evidenzia le “4 dimensioni del territorio di Badolato: mare, collina, montagna e lago”. Guerino (assieme ad altri suoi amici e collaboratori) è una presenza assai preziosa per le nostre realtà territoriali, specialmente per Badolato.
Poco fa mi è venuto in mente che, nei nostri paesi, le famiglie troppo numerose venivano chiamate usualmente “graciamagghja” ovvero “numerosi e confusionari, di diversi pareri, quasi litigiosi e, comunque, vivaci”.
Non ho trovato conforto nei vocabolari dialettali a disposizione l’origine di tale espressione. Personalmente penso che “gracia magghja” possa significare “Grecia Magna” (cioè vivaci e litigiosi come le numerose città della Grande Grecia o Magna Grecia ovvero l’antica Calabria).
Il vocabolarietto realizzato dall’associazione culturale “La Radice” (aggiornato all’agosto 2019) riporta: “graciamagna” come folla informe, non riunitasi intenzionalmente. Enrico Armogida, nel vocabolario Italiano – Andreolese del 2022 alla pagina 634, trattando della “Famiglia” riporta: “Famiglia molto numerosa = grecimagna” … però nel Vocabolario Andreolese – Italiano del 2008 alla pagina 462 non c’è “grecimagna”. Vedrò di consultare altri linguisti, glottologi e dialettologi.
In attesa di inviarti la prossima “Lettera n. 519” ti ringrazio e ti saluto, sempre con tanta cordialità.
Un fraterno abbraccio pure ai nostri gentili lettori, specialmente a quelli più affezionati.
Ciao,
ITER-City, domenica 25 febbraio 2024 ore 18.31– Da 56 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore).
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