21 Agosto 2017
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MONTAURO (CZ) – E’ MORTO GIANNI, “FACCIA DA MOSTRO”, AIELLO. DISPOSTA AUTOPSIA (AGGIORNATO)
Stroncato da un malore improvviso sulla spiaggia. Con lui se ne vanno molti segreti italiani
di Fra. PO.
MONTAURO (CZ) – 21 AGOSTO 2017 – E’ morto Gianni Aiello, detto “Faccia da mostro” per la ferita che aveva sul viso.
Un malore improvviso, un infarto fulminante, con molta probabilità dovuto allo sforzo profuso per tirare a riva da solo la barca, non gli ha lasciato scampo sulla spiaggia di Calalunga, di fronte la sua abitazione.
La salma è stata trasferita all’istituto di Medicina Legale dove verrà effettuata l’autopsia.
Con lui se ne vanno molti segreti italiani.
SEGUONO AGGIORNAMENTI
Giovanni Pantalone Aiello era nato a Montauro, il 3 febbraio del 1946 e si è arruolato in Polizia il 28 dicembre del 1964; congedato il 12 maggio del 1977 risultò residente in caserma (la Lungaro di Palermo) fino al 198.
Separato, la figlia insegna in una Università della California. Oggi ufficialmente risultava essere un pescatore, con un reddito dichiarato di 22 mila euro all’anno anche se in una perquisizione gli hanno sequestrato qualcosa come un 700.000 mila euro investiti in diversi titoli.
Della ferita sul volto Aiello raccontava di essersela procurata durante uno scontro a fuoco in Sardegna per un’operazione di liberazione di un ostaggio; il suo foglio matricolare in realtà è un po’ meno epico e racconta di “un colpo partito accidentalmente dal suo fucile il 25 luglio 1967 a Nuoro”.
Così lo descrisse, nella rubrica “Mafie” di “Repubblica”, Enrico Bellavia, in un articolo titolato “Un mistero chiamato Faccia da Mostro”: «E’ un killer di Stato o un uomo scovato apposta per ingarbugliare le indagini? E’ l’assassino in divisa che ha manovrato mafiosi di strage in strage o è un altro nome per coprire i veri colpevoli? Per una deformazione del viso, tutti ormai lo conoscono come “Faccia da Mostro”.
Ma il suo nome è Giovanni Aiello, ha settant’anni, ufficialmente è un poliziotto in pensione, ufficialmente è residente a Montauro, un paesino sullo Jonio in provincia di Catanzaro.
L’hanno avvistato sulla scogliera dell’Addaura, l’hanno segnalato sull’autostrada di Capaci e poi in via D’Amelio, l’hanno accusato di avere partecipato all’assassino di un bambino (Claudio Domino) e del commissario Ninni Cassarà («Era lì con un fucile di precisione»), di avere avuto un ruolo nel delitto dell’agente Nino Agostino, di avere messo bombe sui treni e di avere dato assalto a caserme. E di stringere rapporti con la ‘Ndrangheta calabrese, con i boss catanesi, con ambienti della destra eversiva e con la Cupola di Palermo.
E’ sospettato di tutto. Ed è sempre a piede libero. Su di lui indagano quattro procure della Repubblica e pure l’Antiterrorismo, inchieste che si aprono e si chiudono, ipotesi che si accavallano e che si scontrano, che si confondono. Magistrati che credono che sia il personaggio chiave per condurli fuori dal labirinto delle stragi e magistrati che credono che sia solo un falso obiettivo. E poi una mezza dozzina di pentiti, che ricordano e non ricordano, che spariscono e ricompaiono.
Negli elenchi ufficiali dei servizi segreti il nome di Giovanni Aiello non risulta. Seguendone le tracce qualcuno è arrivato al centro di addestramento guastatori di Capo Marrargiu, base militare nel Nord della Sardegna, base di trame e di Gladio.
Raccontano di averlo visto più volte anche in compagnia di una donna, addestrata anche lei a Capo Marrurgiu e segnalata a Milano nei giorni dell’attentato nel luglio del 1993 in via Palestro. Giovanni Aiello collegato a “mandanti di Stato” o vittima di elucubrazioni e dietrologie?
Le investigazioni ufficiali propendono per la seconda ipotesi, ma ci sono piste ancora inesplorate. Non c’è certezza neanche sullo sfregio che porta in volto Giovanni Aiello. Lui dice che è una cicatrice ricordo di uno scontro a fuoco con alcuni sequestratori di persona in Sardegna, nel suo foglio matricolare risulta una ferita provocata «da un colpo partito accidentalmente dal suo fucile».
Quattro anni fa, Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, andarono a intervistarlo a Montauro, nella sua casa in riva al mare. Lui negò ogni cosa ma almeno per la prima volta di quella faccia si ebbe una foto. E il padre di Nino Agostino lo riconobbe. In aula lo indicò puntando il dito prima di avere un collasso».