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LA CORTE EDU E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO


Riceviamo e pubblichiamo:

  – PRESERRE (CZ) –  31 OTTOBRE 2024 – Sappiamo tutti che i mutamenti dello scenario ambientale hanno una diretta correlazione con il comportamento umano.

L’aria e l’acqua inquinate insieme ad altri fattori hanno impatti significativi sul cambiamento del nostro ecosistema: tra i cambiamenti di lungo periodo possiamo citare l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani, l’aumento della salinità del suolo, la deforestazione, la perdita della biodiversità e la desertificazione-

Sebbene sia stato dimostrato finora che vi è un nesso causale tra comportamento umano e cambiamenti climatici, molti di noi non sanno però che è possibile svolgere un ruolo primario nell’inversione di tendenza di questo cambiamento.

Non ci crederete, ma c’è chi lo sta facendo. Penserete subito a Greta Thunberg oppure a RalynSatidtanasarn (per tutti Lilly). E invece no. Sto parlando di quattro donne anziane e di un’associazione svizzera per la protezione del clima, l’associazione KlimaSeniorinnenSchweiz, composta da più di 2000 donne svizzere (età media sopra i 70 anni),

Un giorno, stanchedelle alte temperature, responsabili di vere e proprie bolle di calore, che producono impatti sulla vita privata e famigliare, impendendo alle persone di uscire di casa, decidono di portare davanti alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo (con sede a Strasburgo) il loro Stato della Svizzera.

Si ritengono “vittime” di violazioni della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 e entrata in vigore in Italia con legge di ratifica del 4 novembre 1955, n. 848.), in quanto – a loro parere – lo Stato elvetico avrebbe dovuto tutelare adeguatamente il loro diritto alla vita e alla salute di fronte alle ondate di calore estreme causate dal riscaldamento globale.

Non adottando le misure necessarie ad impedire che tutto ciò accadesse, lo Stato Svizzero, nella sostanza, si sarebbe reso responsabile della violazione di alcuni diritti previsti nella CEDU, da quello alla vita (art. 2) al rispetto alla vita privata e famigliare (articolo 8), dal diritto a un equo processo (articolo 6) al diritto a un ricorso effettivo (articolo 13).

Vi dico subito che, per quanto concerne le quattro donne anziane, la Corte europea di cui sopra ha escluso categoricamente che potessero avere la qualità di “vittime”, dato che, in base alle prove presentate, non era stato fornito alcun elemento circa gli effetti negativi diretti sulle ricorrenti (l’art. 34 della Convenzione precisa, infatti, che “La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli”).

Credetemi sono dispiaciuto più di voi, ma non dovete disperarvi perché, se è vero quanto detto sopra, è anche vero però che con la recente sentenza del 9 aprile 2024, nel caso VereinKlimaSeniorinnenSchweiz and Others c. Switzerland, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) ha dato ragione all’associazione elvetica.

In questa sentenza, la Corte europea citata, con 16 voti favorevoli contro uno, ha affermato che, la mancata adozione delle misure idonee a impedire il surriscaldamento globale e gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, costituisce violazione degli articoli 6 ed 8 della CEDU, che riguardano il diritto ad un equo processo e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. 

In particolare l’articolo 8, come ribadito anche dalla stessa Corte, prevede il diritto per gli individui alla protezione da parte delle autorità dello Stato della loro vita e della loro salute: mentre il diritto alla vita riconosciuto dall’art. 2 della Convenzione è stato ritenuto leso soltanto in occasioni eccezionali, in presenza di gravi eventi di disastro ambientale che avevano causato la morte di persone (si veda la sentenza Öneryildiz c. Turchia, del 2004), numerose sono state le decisioni in cui la Corte Edu ha ritenuto che il valore ambientale caratterizza in modo stringente il diritto fondamentale al domicilio e alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8.

Secondo la corte la violazione dell’art. 8 si può verificare anche in assenza di una prova di un grave pericolo per la salute degli interessati perché l’inquinamento è in grado di compromettere in ogni caso il benessere dei ricorrenti

Nel caso di specie, la Corte nota pure che l’associazione abbia la qualità di vittima ai sensi dell’art. 34 della convenzione, dato che è riuscita a dimostrare, con specifico riferimento ai cambiamenti climatici, di agire per conto dei suoi membri

Questa, come quella precedente, rappresenta un’importante affermazione. D’ora in poi, infatti, tutte le associazioni che rappresentano gli individui potenzialmente lesi dal surriscaldamento globale potranno legittimamente agire per la tutela dei diritti summenzionati anche in assenza di un grave pericolo per la salute umana.

Val la pena di sottolineare che  i principi e i diritti riconosciuti dalla CEDU attraverso questa pronuncia possono trovare concreta applicazione su tutte le questioni ambientali che, al pari e anzi prima del cambiamento climatico, minacciano il diritto alla salute di milioni di persone.

Si ricordi, però, che l’art.35, comma 1, della Convenzione recita “La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di quattro mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.

Per cui, in virtù della regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne di cui all’articolo 35 § 1 della Convenzione, un ricorrente deve avvalersi dei ricorsi normalmente disponibili e sufficienti a permettergli di ottenere la riparazione delle violazioni lamentate.

Sta di fatto, però, che l’articolo 300 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 intitolato “Norme in materia ambientale” (“il decreto definisce il danno ambientale come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”) qualsiasi azione o omissione commessa in violazione di legge, di regolamento o di provvedimento amministrativo che provochi un danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte obbliga il suo autore al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento nei confronti dello Stato.

Il Ministro dell’Ambiente è competente per agire ai fini del risarcimento del danno in questione, in particolare costituendosi parte civile nel processo penale (articolo 311). Le persone che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale possono presentare denunce al Ministro dell’Ambiente e chiedere l’intervento statale.

Come è agevole notare, quest’ultima disposizione enuncia, come già l’articolo 18 della legge no 349/86, che soltanto il Ministro dell’Ambiente può domandare riparazione del danno ambientale e che i cittadini possono soltanto sollecitarlo ad adire le autorità giudiziarie.

Di conseguenza, questi ricorsi non possono essere considerati utili ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione e il danneggiato può tranquillamente adire la Corte Edu senza dover attendere l’esito del ricorso presentato dal Ministero.

Insomma, dopo una lunga attesa si può parlare di svolta epocale e di un inizio davvero turbolento.

L’importante è, però, che ci sia un vero cambio di rotta da parte degli Stati in modo da avviare progetti duraturi sul clima che mirino ad integrare i cambiamenti climatici nelle strategie nazionali di tutti i paesi.

L’Unione Europea dovrà invece rafforzare il ruolo di leader globale su clima ed energia. Soprattutto è importante che non smetta di allocare risorse finanziarie, anche nel lungo periodo, per supportare tali politiche ambientali.

Speriamo bene.

Giovanni MACCARRONE

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