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LETTERE A TITO: ERANOVA DI GIOIA TAURO, QUEL PAESE FELICE CHE RESTA EMBLEMA DI TUTTI I BORGHI DISTRUTTI DALLA GLOBALIZZAZIONE


Perentoriamente annientata dalle presunte esigenze della costruzione di uno stabilimento industriale dell’acciaio che avrebbe fatto parte della catena produttiva della società globale dei consumi

di Domenico LANCIANO (www.costajonicaweb.it)

– BADOLATO (CZ) –  10 FEBBRAIO 2024 – Caro Tito, ho dedicato il paragrafo 6 delle Lettera n. 497 (https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-497-miscellanea-di-paradigmi-e-utili-spot-al-martedi-07-novembre-2023/) ad accennare al più recente libro del pluripremiato scrittore calabrese Carmine Abate “Un paese felice” edito da Mondadori lo scorso mese di ottobre.

Pure per riferirtene, ti avevo promesso di acquistare e leggere una copia di tale romanzo, emblematico delle distruzioni e degli sprechi operati dalla Prima Repubblica (1946-1994) specialmente con le sue “cattedrali nel deserto”, in particolare nel nostro martoriato Meridione.

Tanto martoriato che tale copia (prenotata il 18 ottobre 2023 al mio libraio di fiducia, qui in Agnone del Molise) ho potuto avere soltanto venerdì 12 gennaio 2024.

O non ho avuto fortuna io oppure il sistema di approvvigionamento delle librerie periferiche del Sud è così disastrato che bisogna aspettare addirittura quasi tre mesi per avere un libro del più grande editore italiano e di uno degli autori più noti a livello non soltanto nazionale.

Comunque sia, ho concluso la lettura delle 260 pagine alle ore 17.13 di venerdì 26 gennaio 2024.

1 – LA STORIA SU CUI SI BASA IL ROMANZO

Il racconto si basa su fatti storici (avvenuti essenzialmente attorno al 1975) inerenti la tentata costruzione del quinto centro siderurgico italiano sulla fertilissima pianura di Gioia Tauro (assai lussureggiante zona tirrenica della provincia di Reggio Calabria).

Dico “tentata costruzione” perché non ha mai visto la luce tale stabilimento industriale dell’acciaio, nonostante sia stato raso al suolo un intero territorio (oltre settemila piante di agrumi, ulivi, frutta varia, vigneti … nonché case residenziali e rurali … persino un intero borgo chiamato “Eranova” abitato da circa ottocento persone).

Ti puoi far già un’idea seguendo il documentario-inchiesta della RAI-TV “TG2 – Dossier – Acciaio amaro” del 24 luglio 1977 (durata 10 minuti e 19 secondi) visibile su << https://www.facebook.com/watch/?v=256269379814080 >>  oppure su << https://youtu.be/3-k15-PSRLE?si=twVVXbPtePG6TC5J >> oppure << https://www.youtube.com/watch?v=3-k15-PSRLE >>.

Puoi capire almeno un po’ su come siano andate le cose in quella zona. In pratica, al fine di placare i tragici “Moti di Reggio Calabria” (svoltisi dal 5 luglio 1970 al 23 febbraio 1971 per protestare per la designazione di Catanzaro come capoluogo di Regione e per rivendicare lavoro e dignità) l’allora Governo italiano, presieduto dal democristiano lucano Emilio Colombo, varò una serie di provvedimenti (il cosiddetto “Pacchetto Colombo”) secondo cui si sarebbero creati in tutto circa diecimila posti di lavoro. Una cifra davvero affatto trascurabile per quei tempi di forte crisi in cui molte industre chiudevano, licenziando numerosi lavoratori.

Nel 2022 il giornalista AGI Alessandro De Virgilio (figlio del compianto maestro e decano di giornalismo Vincenzo il quale aveva seguìto, giorno per giorno, tutta la vicenda “Gioia Tauro”) ha pubblicato da Rubbettino una tanto interessante analisi di tale “Pacchetto Colombo”.

E, per farci capire di più, lo stesso Carmine Abate ha evidenziato una bibliografia orientativa alle pagine 257-260 del suo “saggio” romanzato.

Dei diecimila posti di lavoro promessi, ben 7.500 sarebbero stati dati dal quinto centro siderurgico (mai costruito) e da altre industrie come la Liquichimica Biosintesi di Saline Joniche (a Capo Sud) che, pur essendo costata migliaia di miliardi di lire, non è mai entrata in funzione. Vere e proprie “cattedrali nel deserto”. Come la SIR (Società Italiana Résine) di Lamezia Terme.

Come tante altre di cui è disseminata l’Italia, in particolare il Sud. Da sogno industriale a disastro totale!

La Calabria è stata, alla fin fine, la più martoriata e penalizzata, poiché è seguita pure la deindustrializzazione di Crotone e di altre località fiorenti e significative per l’economia nazionale. Una vera vergogna!

Un assassinio!…

Un vero e proprio piano per disgregare una intera regione nel contesto di Meridione già di per sé stesso defraudato e spogliato interamente dopo la malaunità italiana del 1860-61.

Penso che in nessun’altra parte del mondo si sia abbattuta una simile calamità politica, un così feroce sadismo e beffa di Stato.

Per costruire il porto di Gioia Tauro, utile alle acciaierie, è stato distrutto, oltre all’ecosistema agricolo, persino l’intero paese di Eranova (popolosa frazione sul mare del Comune di Gioia Tauro).

Questo borgo era stato costruito di sana pianta nel 1896 da alcune famiglie che mal sopportavano le ripetute ed asfissianti angherie feudali del signorotto pre-aspromontano che concedeva in fitto le proprie terre ma non voleva che i suoi dipendenti-schiavi avessero case in muratura.

Adesso, dopo più di ottanta anni, si trattava di fronteggiare un altro e più spietato “padrone” … lo Stato.

Contro cui è stato inutile lottare, così come in altri contesti storici della Prima Repubblica ma anche di precedenti regìmi.

2 – LA TRAMA

Il tema del libro è una doppia grande storia d’amore: quella di Lina e Lorenzo e quella di tutti i protagonisti per il proprio borgo a rischio distruzione.

Inoltre, Carmine Abate intreccia la Eranova calabrese con la Macondo colombiana, il paese immaginario del celebre romanzo “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Màrquez (1927-2014).

Entrambi erano “paesi felici” poi distrutti, cancellati dalla faccia della terra. Le famiglie, che nel 1896 avevano fondato il nuovo paese, hanno voluto chiamarlo “Eranova” con l’augurio che per loro fosse iniziata una “nuova era” di pace, di benessere e di libertà.

Un’illusione e un’utopia durata appena 79 anni.

Ed Eranova si inserisce nel filone utopico della Calabria, chiamata storicamente proprio “Terra di Utopie” poiché fin dall’antichità qui si è sempre sognato un mondo nuovo e felice. Terra di Pace, la Calabria, poiché è stata sempre invasa da eserciti provenienti da tutte le parti, ma non ha mai fatto male o guerra a nessuno.

Così come è stata inondata da profughi in fuga da paesi violenti. Ne sanno qualcosa coloro che sono approdati sulle coste calabresi, in migliaia di anni, per trovare pace e prosperità.

Tutti i profughi sono stati accolti con umanità e fratellanza; prova ne è, ad esempio, l’accoglienza che hanno avuto le centinaia di curdi della nave Ararat i quali, provenienti dalla Turchia, sono stati ospitati nelle case di Badolato dal 27 dicembre 1997.

Lo stesso Carmine Abate appartiene a quel popolo “arbereshe” (albanese) che si è rifugiato in Calabria tra il 1388 e il 1436 e dove è disseminato in ben 56 Comuni (il 14% dei 400 Municipi calabresi).

Inoltre, ti ricordo che la Calabria è stata la Prima Italia 3500 anni fa con le sagge leggi e i sissizi (pasti comuni) di re Italo, il quale ha governato in pace fondando la “democrazia etica” e ha dato nome alla nostra Nazione dalla Sicilia alle Alpi.

Dati assai significativi che, nel corso dei secoli, sono diventati caratteristiche e identità del popolo calabrese.

Il saggio storico, a forma di romanzo, “Un paese felice” gira attorno a due protagonisti essenziali, gli studenti universitari Lina e Lorenzo, i quali si sono conosciuti frequentando l’Università di Bari. Studenti calabresi fuorisede, lei di Eravova (una frazione di Gioia Tauro) in provincia di Reggio Calabria, e lui di un paese dell’allora provincia di Catanzaro, sul versante crotonese.

Non è secondario il fatto che entrambi studino materie letterarie, poiché c’è in loro una propensione all’idealismo, all’etica e all’epica.

L’altro protagonista è il popolo di Eranova, con tutti i personaggi che lo compongono. Tutti con un netto e forte carattere.

Uno in particolare, mastro Cenzo (nonno di Lina), domina il racconto con la sua vita di grande ed indefesso lavoratore che trasmette l’etica alle nuove generazioni.

La narrazione si sviluppa nel corso di un paio d’anni (tra il 1973 e il 1975) avendo al centro del dramma il discorso che l’allora Ministro del bilancio e della programmazione economica Giulio Andreotti ha fatto il 25 aprile 1975 a Gioia Tauro per confermare, pure con la posa della prima pietra, che il quinto centro siderurgico si sarebbe realizzato.

Una condanna a morte per Eranova. Le immagini e il discorso di quel fatidico 25 aprile possono essere seguiti nel video di 13 minuti e 43 secondi << https://youtu.be/5UYKTCBthdg?si=ZtX3ezBYe0ZFUqbv >>.

Ma puoi leggere pure in << http://www.edicoladipinuccio.it/gioia-tauro-1975-quando-andreotti-pose-la-prima-pietra-del-porto-le-cronache-dellepoca-su-una-giornata-non-senza-misteri/ >> e in << https://www.inquietonotizie.it/la-prima-pietra-da-andreotti-a-ravano/ >>.

Lina scrive a tutte le Autorità dello Stato per evitare questa che già appariva una vera e propria truffa colossale per il territorio della Piana di Gioia Tauro e per tutta la Calabria. Si sapeva fin dall’inizio che il quinto centro siderurgico non si sarebbe fatto, perché quindi distruggere quello che era ed appariva un “Paradiso terrestre”?…

La tenace studentessa cerca di coinvolgere in questa battaglia persino il noto scrittore Pier Paolo Pasolini (1922-1975).

Organizza comitati di protesta.

Assieme ad altre donne (tra cui una incinta) si mette davanti alle ruspe che iniziano a distruggere alberi e case.

Tutto inutile.

E’ quindi inevitabile la sconfitta del popolo di Eranova e di altri (specie ambientalisti) per la salvaguardia della Piana di Gioia Tauro.

Carmine Abate dice, in una intervista RAI, che era come se un granello di sabbia combattesse contro il deserto (https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2023/11/Carmine-Abate-Un-paese-felice-2e78b832-7412-4cf2-8dea-c2ef6456fd9e.html).

Così, alcune famiglie hanno accettato un alloggio provvisorio nell’abitato di Gioia Tauro, di San Ferdinando e di altri paesi vicini. I due protagonisti, Lina e Lorenzo, già laureatisi nel frattempo, decidono di emigrare in Trentino.

Fine di un’epopea. Fine di un’utopia.

Fine del diritto di vivere e di non essere sradicati dalla propria terra.

Fine di un’armonia.

Cacciata dal paradiso terrestre.

Fine della felicità!…

3 – SPOPOLAZIONE E BADOLATO

Caro Tito, a dirti la verità, mi ha attratto il titolo di questo romanzo “Un paese felice” pure perché ricalca la civiltà rurale distrutta dalla industrializzazione, dalla conseguente emigrazione con spopolamento, dal consumismo, dall’affarismo e dalla globalizzazione.

Quindi Eranova è uno dei paesi-simbolo di un modo di vivere etico e collaborativo che è stato soppiantato dalla spietata concorrenza, dalla competizione agli sprechi, dall’arrivismo, dalle vanità e da tutto ciò che, alla fin fine, rischia di sfociare nella distruzione dagli egoismi e dalle guerre di qualsiasi tipo.

Guerre ibride, si direbbe oggi.

Quando manca l’etica, il mondo diventa un deserto.

Eranova godeva (tutto sommato e nonostante inevitabili problematiche) di una propria armonia di comunità, così come la civiltà rurale basata sui ritmi e sulla saggezza della Natura.

Noi, che siamo appartenuti alla semplicità del mondo rurale, eravamo felici e forse non ce ne rendevamo conto.

Felici pure perché la nostra vita si basava su valori e sentimenti antichi quanto essenziali.

Purtroppo ci siamo resi conto troppo tardi di tutta questa felicità, quando abbiamo lasciato questo nostro mondo antico ed etico per affrontare una società in cui non eravamo adatti a vivere, senza snaturare la nostra identità, le nostre vite.

Così abbiamo perso la nostra innocenza.

E sopravviviamo infelici a noi stessi.

Carmine Abate, che ha vissuto questo nostro medesimo distacco, afferma che l’Utopia di Eranova consiste nel divario tra innocenza e consapevolezza.

E su tali parametri dovremmo misurare pure noi la nostra vita, le nostre scelte.

La consapevolezza ci può mantenere innocenti così come ci può rendere colpevoli.

A conti fatti, come vedi, c’è sempre l’etica.

Così, ritengo che tali parametri siano validi pure per la mia Badolato.

Ad esempio, quanti badolatesi siano stati colpevoli o innocenti nello spopolamento del borgo?…

Quanti sono stati spinti dalla necessità e quanti dalla consapevolezza che avrebbero contribuito ad uccidere una comunità?…

Si poteva lottare di più?…

Si poteva essere più uniti e creare le condizioni per rimanere?…

Gli interrogativi sono ancora tanti e scomodi.

A volte inquietanti.

Con quanta facilità si è abbandonato il proprio mondo di valori?…

E quanti si sono poi pentiti dell’errore fatto?…

Perché è stato lasciato morire lentamente il borgo senza chiedersi almeno “che fare?” di questa culla che ha tenuto uniti gli abitanti per quasi mille anni?…

Che fare?…

Ed ecco che sono arrivato io (come per Eranova i fidanzati Lina e Lorenzo) con l’SOS “Badolato paese in vendita” per cercare di salvare il borgo dallo spopolamento e dallo sgretolamento anche edilizio.

Il risultato?…

Lina e Lorenzo, così come io … mandati in esilio altrove dopo tante lotte. La storia di Eranova è quindi anche la mia storia.

4 – ROMANZO DA SPOP-ART

Ritengo che “Un paese felice” possa essere un tema ed un romanzo da “Spop-Art” poiché narra pur sempre un metodo e un modo di spopolamento.

I nostri borghi sono stati spopolati dalla richiesta pressante di manodopera di una società industriale o post-industriale, così come Eranova è stata perentoriamente annientata dalle presunte esigenze della costruzione di uno stabilimento industriale dell’acciaio che avrebbe fatto parte della catena produttiva della società globale dei consumi.

Carmine Abate si dice lieto di aver strappato all’oblio la vicenda di Eranova, che la cattiva coscienza di uno Stato e di una Società non-etici aveva condannato alla dimenticanza.

E’ più o meno la stessa operazione che ho fatto e continuo a fare per i borghi spopolati, i quali altrimenti sarebbero sgretolati pure dall’oblio oltre che dalla insignificanza e dal decadimento urbano e rurale.

Da ciò pure la “Spop-Art” cui dedicherò la prossima “Lettera n. 517”.

Ecco pure perché tale romanzo di Carmine Abate potrebbe rientrare nella “Spop-Art”.

E resto convinto che soltanto uno scrittore così (dalle profonde origini calabresi e proveniente da un borgo collinare come Carfizzi – KR) avrebbe potuto pensare di scrivere una vicenda così come quella di Eranova.

E lode ed incoraggiamento vadano a tutti coloro che, come ad esempio Franco Arminio paesologo, lottano per la salvezza e la rivitalizzazione di molte migliaia di borghi spopolati.

Ritengo altresì che a rimanere affascinato e addolorato dal triste epilogo (così come dalle epiche origini utopiche e di libertà) sia stato un Carmine Abate che ha in sé pure l’esperienza di emigrato e figlio di emigrati.

Questa di Eranova è una storia universale ma dalle connotazioni tipiche della voglia di valori e di libertà che da sempre caratterizzano il popolo e la cultura calabrese.

Pure per questo penso che ogni calabrese dovrebbe conoscere ed apprezzare questa storia, narrata con estrema semplicità che però non nasconde la tragedia di una Comunità e, per esteso, la tragedia umana provocata dalle troppe prepotenze un po’ ovunque nel mondo.

Come non pensare a quella Striscia di Gaza rasa letteralmente al suolo dall’esercito israeliano o quell’Ucraina martellata continuamente e distrutta (pure nella sua parte civile) da un’intollerabile invasione ed invadenza imperialista russa la quale ha radici antiche e nefaste (ragion per cui tutta l’Europa dovrebbe stare in allarme).

Eranova distrutta e cancellata come in un bombardamento, come in una assurda guerra che non lascia scampo ed alternative e che può capitare a chiunque e ovunque.

Soltanto l’etica potrebbe salvare il mondo e l’umanità.

5 – SALUTISSIMI

Caro Tito, come non dire “Bravissimo!” a Carmine Abate per averci restituito alla memoria non soltanto Eranova ma tutto ciò che questa entità significa, specialmente per noi calabresi.

Anche se, ad onore del vero, “Un paese felice” dovrebbe essere letto da tutti gli italiani non soltanto perché questa vicenda è parte integrante della “Storia d’Italia” (sebbene nefasta) ma anche perché è il tratto sociologico e psicologico di quella Italia offesa e maltrattata dallo spopolamento che, stando alle statistiche, ha finora colpito oltre 5mila comuni sugli 8mila esistenti in Italia.

Praticamente più di mezza Nazione resa desolata e distrutta, come peggio di una guerra.

Un solo interrogativo per concludere questa lettera n. 516 … ma valeva la pena spopolare i borghi e le ruralità se le città scoppiano e i paesi muoiono ormai in modo quasi irreversibile.

Ci sono margini, però, di ripristino della legalità … perché, diciamocelo chiaro e tondo, l’emigrazione e il conseguente spopolamento sono uno scippo criminale, predatorio e da condannare sempre ovunque e comunque.

Pregherei i nostri lettori di leggere almeno la biografia e la bibliografia del nostro Autore su << https://it.wikipedia.org/wiki/Carmine_Abate >>.

Oltre a conoscere meglio uno dei vanti della Calabria, sarebbe utile scorrere i titoli delle sue tante pubblicazioni, che in gran parte vengono ormai pubblicate dalla Mondadori (segno che questo nostro pluripremiato Scrittore ha una levatura internazionale).

D’altra parte ha ragione la bravissima scrittrice e collega giornalista Giusy Staròpoli Calafàti (Vibo Valentia 1978) nel fare una campagna di sensibilizzazione popolare e verso le Istituzioni affinché a scuola si possano studiare gli Autori calabresi.

Anzi l’intera Letteratura Calabrese.

Per prima cosa infatti dovremmo leggere e studiare gli scrittori regionali … non fosse altro che per capire meglio noi stessi, ma anche per andare orgogliosi dei nostri Artisti … cercando di imitare qualcuno e di continuare la tradizione valoriale.

Finisco qui, anche se vorrei continuare.

Ringrazio te per pubblicarmi ancora e ringrazio i nostri lettori, specialmente coloro i quali ci seguono con più attenzione e persino con affetto e partecipazione.

Alla prossima.

ITER-City, venerdì 09 febbraio 2024 ore 05.58 – Da 56 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore).

La foto, cui i diritti appartengono ai legittimi proprietari, è stata prese dal web.

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