LETTERE A TITO: MALINCONIA, TRISTEZZA E NOSTALGIA DEI BADOLATESI D’ARGENTINA RACCONTATA DA MARIO BRUNO LANCIANO
Un interessante documento pure emotivo, pure perché tale tristezza non caratterizzava soltanto i badolatesi o gli altri calabresi (più propensi a rimpiangere il proprio paese) ma era abito quotidiano di quasi tutti gli italiani
di Domenico LANCIANO (www.costajonicaweb.it)
– BADOLATO (CZ) – 21 DICEMBRE 2024 – Caro Tito, forse non esagero se penso che non ci sia famiglia calabrese (o italiana in genere) che non abbia avuto (e non continui ad avere) familiari, parenti ed amici emigrati in Argentina. Specialmente Badolato ha, quasi per metà della popolazione emigrata (e quindi a migliaia), propri cittadini in Buenos Aires e dintorni.
Tanto è che, dopo la cittadina svizzera-zurighese di Wetzikon, la Capitale dell’Argentina è considerata << la terza Badolato >>, per quanti badolatesi ci vivevano fino a qualche decennio fa. Adesso, sia a Wetzikon che a Buenos Aires, ci sono le altre generazioni (seconde, terze, quarte…) di quegli emigrati delle varie ondate (tra 1870 ai primi anni Cinquanta), per cui si sta alquanto affievolendo il legame con la madre-patria. Anche se ci sono alcuni eredi badolatesi che cercano di tenere vivo tale legàme, come il mio terzo cugino Ariel Battaglia, il quale cura, da qualche anno, il sito internet << Club dei discendenti di badolatesi in Argentina” per cercare di tenere unita la Comunità con tutta una serie di informazioni e di iniziative adatte a tale scopo.
Il mio nonno paterno, Bruno Lanciano (Badolato 1869-1952), è stato uno dei primissimi giovani badolatesi a fare il grande salto intercontinentale sud-americano. Poi è toccato a due suoi figli, Giuseppe (1902 – defunto) ed Ottavio (1921-1985). Mio nonno, dopo 6 viaggi, è tornato per sempre a casa; mentre suo figlio Giuseppe è rimasto in Argentina e l’altro figlio Ottavio è tornato definitivamente verso i primi anni ottanta del ventesimo secolo appena passato. Come dimostra la foto seguente (n. 3), tratta dal mio secondo volume del << Libro-Monumento per i miei Genitori >> (edito nel 2007), il primogenito Giuseppe, mio fratello maggiore (1930-1996), è partito per l’Argentina, appena ventenne, il 3 giugno 1950 e non è mai più ritornato. Non l’ho mai conosciuto, e, purtroppo, è morto (prematuramente a 66 anni) proprio qualche mese prima che io andassi a incontrarlo a Villa Bosch (una località attaccata alla Capitale, nel suo lato ovest) dove abitava con la moglie Carmen (pure lei di origine italiane) e la loro figlia Claudia Karina.
Sarà perché fino a qualche decennio fa i mezzi di comunicazione erano lenti e i cosiddetti “social” non c’erano ancora … si era soliti dire che << l’Argentina era la terra della dimenticanza >> … nel senso che coloro i quali erano emigrati in Argentina si dimenticavano del paese e della famiglia. Ovviamente c’erano le eccezioni. Ma, effettivamente, era così … non c’era altrettanta frequente comunicazione come con i parenti emigrati negli Stati Uniti, in Canada o in Australia. Tuttavia, come si può immaginare e come mi racconta mio cugino Mario Bruno Lanciano (figlio di mio zio Ottavio), pare che in Argentina i badolatesi soffrivano tantissimo di nostalgia ed erano alquanto tristi per tale lontananza. A testimonianza di ciò, mi ha mandato un breve racconto che qui di seguito evidenzio, come un interessante documento pure emotivo … pure perché tale tristezza non caratterizzava soltanto i badolatesi o gli altri calabresi (più propensi a rimpiangere il proprio paese) ma era abito quotidiano di quasi tutti gli italiani.
Ma ecco il racconto … scritto a Parma lunedì 09 dicembre 2024 … e dedicato a suo padre, Ottavio Lanciano.
Mario Bruno è nato il 06 giugno 1953 in Buenos Aires, dove si è laureato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1983 vive in Italia dove è imprenditore di successo con la sua società “ITALO-IBERICA”, inventore (con al suo attivo oltre venti brevetti), consulente ministeriale, Nato, ecc.
La sua specializzazione è l’innovazione delle tecnologie applicate alle infrastrutture (in particolare ponti e gallerie) al servizio della sicurezza degli utenti, oltre alla continua collaborazione con i principali Laboratori Europei di Sicurezza Antincendio e Prove di Fuoco su scala reale. Molte autostrade italiane, metropolitane di grandi città, ed altre grandi infrastrutture portano pure la sua firma (e anche quella di suo figlio Walter Mario, attualmente impegnato nel traforo del Brennero, il più lungo del mondo con i suoi 64 km di lunghezza).
Ed ecco, al seguente paragrafo 1, il racconto di mio cugino.
Nota bene: ho inserito le foto nel testo (che ne era privo) soltanto per alleggerirne ed invogliarne la lettura.
1 – BADOLATESI A BUENOS AIRES di Mario Bruno LANCIANO
Domenica primo dicembre 2024, provando a casa il funzionamento di un registratore digitale, mi è venuto in mano un CD di Tango che avevo acquistato in uno dei tanti viaggi fatti negli anni a Buenos Aires. Ascoltando le canzoni molto tristi e guardando i nomi degli autori (quasi tutti figli di italiani come Troilo, Messuti, Basso, Fresedo, Sciamarella, De Angelis, Pugliese, D’Arienzo, Piazzolla, ecc.) mi è venuto in mente la mia gioventù ed il ricordo dei nostri parenti. Correva l’anno 1960, ero molto piccolo (avevo appena 7 anni) e di fronte alla nostra casa c’era un club dove, nei weekend e nel periodo delle feste, in particolare di Carnevale, suonavano tango da ascoltare e da ballare. Essendo ancora troppo piccolo, non riuscivo a capire il senso delle parole, ma percepivo la tristezza straziante che diffondeva la voce del cantante di turno. Poi negli anni ascoltandoli ho capito anche quelle parole di tristezza immensa. Riporto un testo di una canzone tra quelle che mi hanno colpito di più, già da grande. E’ dedicata alla propria mamma. Ecco…
Llora el paisaje de la pampa inmensa,
toda la angustia de mi corazón…
Llora el recuerdo de mi pobre vieja
que allá en Italia dejó su canción.
¡Oh, madre mía, tu imagen santa
en mi camino siempre estará!
¡Oh, madre mía, desde la ausencia,
tus dulces ojos me alumbrarán!
¡Madre querida, que allá en Italia
dejé llorando en aquel hogar,
con los rezos de tus plegarias
como una sombra detrás del mar!
¡Madre mía, madre santa,
tu recuerdo es mi canción,
y en el rezo de mis noches
siempre imploro tu perdón!
Aquella madre – Quella madre
(Parole di Antonio Polito / Música di Juan Rezzano)
Piange il paesaggio dell’immensa pampa
tutta l’angoscia del mio cuore…
Piange il ricordo della mia povera mamma
che lì in Italia ha lasciato la sua canzone.
! Oh, mamma, la tua santa immagine
nel mio cammino sempre sarà!
! Oh, mamma, dalla tua mancanza,
i tuoi dolci occhi mi illumineranno!
Cara mamma, che lì in Italia
ti ho lasciato piangendo in quella casa,
con le preghiere delle vostre implorazioni
come un’ombra dietro il mare!
! Mamma, santa madre,
il tuo ricordo è la mia canzone,
e nella preghiera delle mie notti
imploro sempre il tuo perdono!
La domanda che mi frullava in mente: perché quella musica e quelle parole erano così tristi?… Intanto che ero a Buenos Aires non percepivo questo stato d’animo, mi sembrava normale. La scoperta è stata quando sono arrivato a Badolato la prima volta nell’anno 1980 e poi definitivamente nel 1983. Vedere i nostri zii, cugini, parenti con una solarità travolgente! Quanto affetto ed allegria ci hanno dato, cambiando la nostra percezione della vita!
La tristezza e la malinconia che caratterizzavano molti badolatesi emigrati a Buenos Aires, così come molti altri emigrati, penso che possono essere spiegate attraverso una combinazione di fattori emotivi, culturali e sociali legati al fenomeno migratorio.
Andare da Badolato (un borgo con una forte identità culturale e un legame profondo con il territorio) ad una città come Buenos Aires rappresentava uno shock emotivo enorme. Lasciavano famiglia e amici, legàmi familiari e sociali, così centrali nella loro cultura.
Solo pensare che tra le famiglie di mio padre e di mia madre erano 18 fratelli, sommando zii e cugini di diverso grado, mezzo paese erano familiari diretti.
La storia dei badolatesi si intreccia profondamente con i flussi migratori verso l’Argentina, e in particolare verso Buenos Aires, a partire dalla fine del 19mo secolo, primo viaggio di mio nonno Bruno, e proseguendo dopo la prima guerra mondiale con mio zio paterno Giuseppe e mio zio materno Pasquale e dopo la seconda guerra mondiale con mio padre ed altri familiari. Adesso che ho più di 70 anni penso al dolore delle mie due nonne!…
Badolato, come molti altri paesi del Sud Italia, ha vissuto un’emigrazione massiccia a causa di povertà, mancanza di lavoro e opportunità economiche e sociali molto limitate. In quel periodo, la Calabria era una delle regioni più povere d’Italia, colpita dalla crisi agricola e da un forte spopolamento delle aree rurali, secondo me dovuto anche a scelte strategiche sbagliate, fatte per motivi politici ed interessi economici di alcuni imprenditori del Nord Italia (nel mio ricordo la FIAT, la Dalmine, SADE, ecc.). In particolare dopo la seconda guerra mondiale, l’Argentina era un Paese in espansione economica e con politiche migratorie favorevoli, in gran parte concordate con i paesi europei. Allora era il periodo del General Peron, il quale ha spinto migliaia di italiani, tra cui molti provenienti da Badolato, ad andare in Argentina, offrendo l’illusione di una vita migliore, il mito dell’America, dimenticando però l’elemento fondamentale della nostra esistenza … << il Fattore Umano >>.
Il motivo principale risiede nel fatto che le industrie multinazionali avevano bisogno di molta mano d’opera a basso costo, disposta a lavorare turni estenuanti senza mai lamentarsi. I badolatesi per questioni genetiche sono un popolo forte, lo ho costatato con mio padre che da lunedì a venerdì lavorava nella società di elettricità e sabato e domenica lavorava l’orto dietro casa (pomodori, lattughe, cetrioli, frutteti, ecc.). A differenza, il nativo argentino non era abituato a lavorare, viveva alla giornata, lavori temporanei, poco affidabili per gli imprenditori (normalmente lunedì mancavano sempre al lavoro) e la cosa più importante la mancanza del concetto di famiglia. La storia del nativo o il gaucho si intreccia con la sua vita da nomade, vivendo senza grandi sforzi e necessità, da mandriani nella Pampa, viaggiando da un paese all’altro, mangiando quello che trovava, mantenendo relazioni casuali con le ragazze del posto o matrimoni di breve durata. Come risultato, molto amici del mio quartiere non conoscevano il proprio padre, vivevano in povertà, senza scuola, ripetendo in una città enorme come Buenos Aires lo stesso errore dei genitori.
Molti italiani partivano con l’idea che l’emigrazione fosse temporanea (il caso di mio padre) e che, dopo aver guadagnato abbastanza, sarebbero tornati a Badolato. Questo sogno irrealizzato alimentava una malinconia permanente, il desiderio di una vita che sentivano di aver perso per sempre. L’integrazione non è stata così semplice, con una cultura e lingua diversa. Pur essendo nato a Buenos Aires, io stesso fino ai 6 anni parlavo solo il dialetto dei miei genitori, tanto che nella prima classe elementare la maestra pensava che avessi qualche ritardo mentale. In sèguito, essendo quella una città di forte immigrazione e avendo studiato, non ho sentito mai personalmente la discriminazione, la maggior parte dei miei amici erano figli di italiani o spagnoli, con i quali condividevamo lo stesso percorso storico e culturale.
La comunità badolatese a Buenos Aires ha mantenuto viva la propria identità culturale attraverso l’eccezionale cucina, pochi prodotti ma di un sapore unico ancora presente nella mia memoria (polpette, melenzane ripiene, pane con olio e origano).
Nei primi anni, parenti e paesani si ritrovavano quasi tutte le domeniche per parlare del passato e del presente, il futuro nella loro testa era prima o poi tornare a Badolato, improvvisando piccole orchestre.
Mio padre suonava la chitarra, sempre canzoni tristi, non ho ricordo di tarantelle come qualcuno potrebbe immaginare. Solo da grande in qualche matrimonio venivano suonate tarantelle, ma già i tempi erano cambiati, anche a Buenos Aires era arrivato il famoso anno 1968 della contestazione e dello svecchiamento culturale a livello internazionale.
La storia dei badolatesi rappresenta un esempio emblematico di come una piccola comunità abbia contribuito a costruire l’identità multiculturale di Buenos Aires, mantenendo per molto tempo i legami con la propria terra d’origine, creando un ponte tra culture e continenti. Tale legame non è comune a tutte le altre comunità che sono emigrate nel corso dei decenni. Molti dei miei amici e compagni esteri non parlavano mai dei loro antenati, della loro provenienza e difficilmente ci invitano a casa loro. Nel tempo ho capito che questo era dovuto alle difficili situazioni che avevano vissuto alcuni Paesi durante i conflitti mondiali. In particolare i discendenti di Polacchi, Tedeschi, Ucraini, Jugoslavi, non volevano ricordare o parlare del loro passato. La svolta è stata nel 1976 con il drammatico colpo di stato militare che ha cambiato per sempre la storia dell’Argentina. Una storia molto dolorosa, con tanti compagni universitari dei quali al rientro alle aule (dopo sei mesi) non ho saputo più niente. La situazione politica accompagnata da una forte crisi economica è alla base del blocco migratorio naturale e alla uscita di tante persone dal paese. L’orientamento politico, la mancanza di libertà, le condizioni economiche hanno spinto alcuni badolatesi a tornare al proprio paese. Nel 1980, dopo essersi pensionati, sono rientrati definitivamente pure i miei genitori e nel 1983, dopo la guerra con l’Inghilterra per le isole Falkland, è toccato pure a me, con mia moglie e i miei due figli ancora piccoli.
Per disgrazia non è stato possibile per tutti; diversi fattori hanno contribuito a questo non-ritorno.
Oltre a problemi economici, erano di ostacolo aspetti molto personali come il legame dei figli e nipoti con persone di altre culture oppure il rancore rimasto in alcuni (e questo è l’aspetto più doloroso) di essere stati fatti emigrare a Buenos Aires, contro la loro volontà, da soli e molto giovani.
Un ricordo molto particolare per mio cognato Pedro e mio cugino Peppineyhu, ai quali ho voluto tanto bene.
Tuttavia il tempo passa velocemente ed oggi i discendenti dei badolatesi a Buenos Aires sono già parte integrante della società argentina. Anche se le continue crisi economiche degli ultimi anni in Argentina, fa tornare ad alcuni dei discendenti il forte desiderio di venire in Italia. Le difficoltà sono enormi, partendo da quelle economiche (ad esempio, il cambio di moneta dal pesos all’euro), della non conoscenza della lingua italiana, della competitività del mercato del lavoro, di un elevato livello formativo dei nostri ragazzi e di non trovare più parenti o ricordi, fanno desistere tanti in questa avventura di rientro al nostro paese.
Infine, penso che poteva essere un dramma evitabile… era sufficiente creare lavoro o inventarlo come facciamo noi ingegneri, dietro esigenze reali o virtuali, per impegnare tutti, per tenere occupati tutti. Salvo le esigenze primarie, tutto il resto è il risultato della società.
Avere una macchina più grande, un bel orologio o viaggiare non sono esigenze primarie ma creano lavoro, coesione sociale, dignità ed amore e rispetto per tutti gli esseri umani. Vedasi il dramma di oggi con Stellantis, politici ed imprenditori senza competenza e senza nessuna etica.
Un pensiero particolare voglio qui rivolgere tutti gli emigrati, a mio padre, il quale a 19 anni è andato in guerra, a 27 è emigrato a Buenos Aires. Da lui ho imparato l’importanza del sapere, del lavoro e l’amore per la mia famiglia. Grazie, papà. Tuo figlio Mario.
2 – MANCA UNA STORIA DELL’EMIGRAZIONE BADOLATESE
Caro Tito, come ti scrivevo in qualcuna delle 580 “Lettere a Tito” e in una delle mie 36 “Lettere su Badolato” … di questo mio paese natìo ho amato pure le pietre … tanto è che ne volevo fare un vero e proprio Museo. Infatti, per tutti i tre anni della Scuola Media (cioè dall’anno scolastico 1961-62 in poi) andavo raccogliendo pietre belle da vedere e sicuramente interessanti dal punto di vista geologico e mineralogico. A gennaio 1962 mi sorella Rosa è emigrata, per matrimonio, in Australia e aspettavo con ansia le sue lettere che raccoglievo e conservavo. Ho capito, allora, che tutte le lettere provenienti dai paesi dell’emigrazione potessero essere importanti e significative. Così, oltre a quelle di mia sorella, conservavo pure lettere di altri parenti ed amici emigrati. Anzi, chiedevo in giro lettere d’emigranti che spesso le famiglie buttavano una volta lette. Pensavo già allora ad una Biblioteca o ad un Museo dell’Emigrazione. Da bambino e da adolescente sono stato testimone di gran parte delle strazianti partenze per le Americhe e l’Australia, ma anche per il Nord- Italia e il Centro Europa. Ne so qualcosa.
Una STORIA DELL’EMIGRAZIONE BADOLATESE era in programma nell’ipotizzata UNIVERSITA’ POPOLARE BADOLATESE, il cui progetto è stato presentato da me, dal prof. Antonio Gesualdo e dal prof, Vincenzo Squillacioti ai rappresentanti di tutti gli enti e delle associazioni di Badolato domenica sette dicembre 1975 (se ben ricordo la data precisa) nel salone del vecchio asilo infantile dell’ANIMI a Badolato Marina (quello sulla collinetta vicino alla chiesa e alla pretura, in Via Garibaldi).
Purtroppo, tale evento è stato sabotato dallo Stato Maggiore dei comunisti badolatesi (Sindaco PCI in persona, segretario locale PCI e responsabile locale UDI).
Un altro “purtroppo”: non ho potuto prendere in mano la situazione, reagire e realizzare, comunque, l’UNIVERSITA’ POPOLARE BADOLATESE perché dovevo ultimare gli studi universitari a Roma e, appena due mesi dopo, verso i primi di febbraio 1976 è pure intervenuto il servizio militare ad allontanarmi da Badolato per un anno.
Poi, nel marzo 1986, ho redatto un altro progetto, questa volta da “Bibliotecario (precario) incaricato” per l’allora Amministrazione Comunale (comunista) del sindaco Ernesto Menniti, la stessa che, nel settembre 1986 mi ha autorizzato di lanciare giornalisticamente, su mia proposta, l’idea di << Badolato paese in vendita >> per salvare il borgo dal più completo spopolamento (provocato in gran parte proprio dall’emigrazione). Il progetto (cui tenevo molto) era quello di realizzare un settimanale o un mensile cartaceo (intitolato CHI RESTA) destinato agli emigrati badolatesi nel resto d’Italia e del mondo, ma anche ai badolatesi che, appunto, restavano a Badolato. Infatti il concetto era che CHI RESTA PENSA A COLORO CHE SONO ANDATI VIA E VIVONO ALTROVE, OLTRE I CONFINI COMUNALI. Ma pure questo progetto non è stato accettato. Quindi, dobbiamo ringraziare l’associazione culturale LA RADICE quando poi (8 anni dopo, nell’aprile 1994) ha realizzato ed avviato la rivista cartacea omonima (LA RADICE) destinata ai Badolatesi emigrati in ogni angolo del mondo.
Tale rivista, nell’aprile 2024, ha compiuto ben 30 anni di edizioni continue e puntuali. Tutti i fascicoli potrebbero essere utili, adesso, per cominciare a realizzare una vera e propria << STORIA DELL’EMIGRAZIONE BADOLATESE >>.
Una Storia che manca e che potrebbe costituire la parte maggiore ed essenziale della STORIA DI BADOLATO dal 1870 circa “in continuo” fino ai nostri giorni e per chissà quanti anni in futuro. Certo, se fossi rimasto a Badolato a curare la Biblioteca Comunale, questa necessaria STORIA DELL’EMIGRAZIONE BADOLATE (assieme a tanti altri studi locali) sarebbe stata realizzata.
Purtroppo, Badolato è sì un bel paese, ma è anche e soprattutto il paese di tante cose mancate, delle occasioni perse ma essenziali per la propria identità.
Uno studente universitario di buona volontà potrebbe fare una tesi di laurea proprio sull’EMIGRAZIONE BADOLATESE.
3 – UNA STORIA DEL LAVORO CALABRESE ALTROVE
Caro Tito, per chi si volesse dedicare (dentro o fuori le Università) a realizzare uno studio assai interessante (ed anche accattivante per la dignità e l’orgoglio del nostro popolo) suggerirei di guardare al lavoro di qualità che i calabresi realizzano in tanta parti del mondo, in particolare in Italia. Fin dagli anni sessanta sono sempre stato convinto che il Centro-Nord Italia non sarebbe stato ciò che è (cioè ricco e tecnologicamente progredito e politicamente dominante) senza il lavoro e l’ingegno dei Meridionali. Una prova potrebbe essere, ad esempio, l’opera di ingegno e imprenditoriale proprio di questo mio cugino Mario Bruno Lanciano, il quale, assieme al figlio Walter Mario (classe 1981), è stato autore della parte tecnologica della nuovissima autostrada Pedemontana veneta (lunghezza km 94,747 da Vicenza Nord a Treviso Nord). Guarda il recentissimo video (durata 38 minuti) << https://www.youtube.com/watch?si=q4k3IYljdGSr8zNu&v=AEHkBy6N8BQ&feature=youtu.be >>.
Seguendo tale video non ho potuto non pensare alle (quasi) pietose condizioni del nostro sistema viario meridionale, in particolare alla nostra Strada Statale jonica 106 che dovrebbe collegare, pure in modo più veloce della stessa A2 del Mediterraneo (ex Salerno-Reggio Calabria), perché più pianeggiante e assolata, la Sicilia e l’estremo Sud con il Centro-Nord e l’Europa con il suo innesto (a Taranto) all’Autostrada A-16 Adriatica, alleggerendo l’A2 e l’A1 sempre più e troppo congestionate. Se paragoniamo i servizi, le soluzioni tecniche, la ricchezza di sistemi di sicurezza (presenti nella Pedemontana veneta) con i tratti attualmente raddoppiati della 106, siamo autorizzati a pensare che le nostre strade del sud sono ancora “viottoli” di campagna (alcuni tratti rimasti al 1935 anno di costruzione, vedi il ponte sul torrente Vodà a Badolato) e che siano due pianeti estremamente diversi. Ci sarà più di un motivo perché tra Nord e Sud (italiani) ci siano ormai distanze siderali e purtroppo sempre più INCOLMABILI.
Lascio considerare ai nostri lettori, i quali (se si arrabbiano di brutto) vuol dire che qualcosa hanno capito su ciò che non va in questa Italia delle ingiustizie e delle prevaricazioni. E forse capiranno quella espressione che sono solito usare “La Calabria è la Palestina d’Italia” (con le dovute proporzioni distruttive, ma gli esiti sono pressoché eguali). E che c’è un “genocidio silenzioso” in atto.
In altre parole, sta venendo meno (per il Sud ed altre aree interne e periferiche) persino quella “terapia di mantenimento” che almeno prima aiutava in qualche modo a non desertificarsi troppo. Nella realtà dei fatti, dopo il disastro della conquista del Sud e della malaunità italiana del 1860-61, persino il PONTE SULLO STRETTO è (secondo me) la più grave sciagura per il Sud, nonostante le apparenze trionfalistiche.
E il fatto stesso che un uomo delle Istituzioni (ma possiamo dire “ex-razzista”?) del profondo Nord come il capo della Lega (Nord) Matteo Salvini s’accanisca così tanto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto mi torna “molto ma tanto assai” sospetto. Il futuro ci dirà se avranno avuto ragione i “SI PONTE” come lui oppure i “NO PONTE”. Ma, purtroppo, dopo chissà quanti costi e danni fatti. Speriamo bene, comunque, o col minor danno possibile, specialmente proprio nell’area dello Stretto, così amena, delicata e vulnerabile.
4 – SALUTISSIMI
Caro Tito, intanto, il sopra ricordato altro mio cugino italo-argentino Ariel Battaglia (che ancora vive a Buenos Aires) mi ha inviato un racconto che ha scritto sulla sua esperienza diretta di Badolato. Spero di potertelo partecipare con la prossima “Lettera n. 582”. Nell’attesa, ti ringrazio e ti saluto, così come ringrazio e saluto i nostri sempre gentili lettori. A presto! Fraterni abbracci a tutti e tanta cordialità!
ITER-City, giovedì 19 dicembre 2024 ore 19.19 – Da 57 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore).
La foto mi è stata fornita dagli interessati.