PADRE REMIGIO DA CROPANI, UN “ASSAGGIO” DEL PREZIOSO LIBRO PUBBLICATO DALLA BCC
Volume in distribuzione gratuita
di Salvatore CONDITO
– CROPANI (CZ) – 25 AGOSTO 2024 – Ecco un “assaggio” del libro su padre Remigio Le Pera dalla prefazione di Luigi Stanizzi, a beneficio di chi lo ha stimato e, soprattutto, gli ha voluto bene. Il libro “Padre Remigio da Cropani (Alberto Le Pera) – La Fede e la Cultura” è stato presentato dal Presidente della Banca Centro Calabria Credito Cooperativo Giuseppe Spagnuolo, dal Vicario dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace Mons. Salvatore Cognetti, dal sindaco di Cropani Raffaele Mercurio, dal parroco padre Francesco Critelli, da fra Gianluca Crudo direttore Lexicon Capuccinum, dal rappresentante della famiglia Le Pera Brunop Risoleo che ha annunciato la donazione del fondo padre Remigio alla biblioteca “Saverio Grande” di Cropani, dalle fini dicitrici Francesca Stanizzi e Valentina Caramuta, dagli autori Ulderico Nisticò, Paola Bianco e Luigi Stanizzi.
Dalla Prefazione di Luigi Stanizzi ecco “Il frate buono”: “Non c’è nemmeno una sola voce discordante sulla sua preziosa missione di sacerdote. E già questo è un risultato assai raro per un monaco che, per molti anni, porta avanti la sua vocazione anche nel suo paese natale. Stimato, rispettato da tutti e qualche volta anche temuto. Sì, perché con lui non si può giostrare tanto nel solco sbagliato.
Con uno sguardo fulminante stronca subito l’interlocutore, che capisce al volo di non potere andare oltre nei suoi errori o amenità.
“Il sacerdote è chiamato a dedicare l’intera sua esistenza a Dio e agli altri”, come non si stanca mai di dire oggi l’Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace, Mons. Claudio Maniago.
Ecco, è esattamente quello che fa Padre Remigio, che ha come unica sua missione la Chiesa senza mai aspettarsi nulla da nessuno, se non di essere in grazia di Dio. Lo dimostra la sua vita intera. Questo semplice Frate Francescano, Ministro di Dio, lascia segni di bontà e testimonianza di fede incrollabile in ogni città o paese dove va a vivere.
Una vita dedicata unicamente alla chiesa e allo studio.
Il cropanese più conosciuto.
Quando fuori dal paese ci capita di dire che siamo originari di Cropani, la gran parte delle volte ci rispondono col sorriso sulle labbra “Ahhh, il paese di Padre Remigio… So Sono andato tante volte al suo convento! Come sta?” E sentiamo un buon pizzico di orgoglio!
È una fortuna vivere l’infanzia all’ombra del Convento dei Cappuccini di Cropani. Sentirsi comunità, chiesa, l’incontenibile commovente felicità nell’imparare ad amare gli altri, a volersi bene con tutti. L’Età dell’Oro.
La Messa tutte le domeniche nella Chiesa di Sant’Antonio, con la promessa che poi puoi anche giocare a bigliardino, ping pong o a pallone al campo dei monaci dove imperversano i tornei con i divi del momento Michele Spagnuolo, Filippo Campagna,
Mimmo Rabia, ‘u mutu De Paola, Totò Flecca, Gianni Feroleto Panaru, Fernando e
Claudio Olivadese, Aldo e Mario Colosimo, Gianni Guzzi Ricciotti, Benì Murfone, Peppe
Schipani, Gino Argirò, Palumba, Maghetto, il mitico portiere ‘u Zu Vasu e prima Peppinuzzu Dante, l’urlante allenatore Turuzzu e Giobba (il campo di calcio nei decenni successivi diventa vigneto). Il Cinema Elena stracolmo di pubblico femminile di tutte le età, ma solo a Pasqua per Il Re dei Re, I Dieci Comandamenti, Ben-Hur. In chiesa i bei canti delle donne, col capo coperto dal fazzoletto, elevati ai cielo, “Oh Maria quanto sei bella sei la gioia e sei l’amore…” , colmi di fede e di speranza – come preghiere – in cui riconosci ciascuna voce: di mammina, Checchina Basile, delle sorelle Sara e Gaetana (altro che chitarre e canzoncine di cori moderni!) I cordigeri, i distintivi Gifra, Pax et Bonum, il refettorio, la scritta Clausura, Ofs, Tor, il salone Mimì Cosentino, il teatro con la recita da batticuore da bambino “Questa un dì sia la tua sorte che di un fuso dia la morte…”, l’opera “La Passione di Cristo” con l’anziano Ottavio Lepera che interpreta Giuda circondato da due diavoletti (Ginettu e Micu) armati di tridente e vestiti di raso rosso con tanto di coda cucito da Mariniddhu ‘u sartu; il dramma “Credo” con il geniale Saverio Grande, “per la regia di Paolo Salerno”; Ciccio Guzzi attore protagonista; commovente indimenticabile graffiante voce fuori campo di Antonello Stanizzi; la cucina, i pignatiddhi colmi di grasso di maiale, le botti di vino, l’orto dei monaci, il campo di bocce adombrato dalle fronde di ulivo a giocare a padrone e sotto con nonno Giobba, i gigli bianchi e azzurri, il Terz’Ordine Francescano di cui nel Terzo millennio Gaetana
Basile diventa Ministra, le rarissime indimenticabili gite in pullman alla Madonna delle
Lacrime, o a Maropati dove misteriosamente sgorga sangue, da Padre Pio a chiedere la la Grazia (il miracolo per mammina), a Torre di Ruggero… “Quel mazzoliiin di fiori, che vien dalla montagna…” Il segno della croce con l’Ave Maria al mattino e l’Angelo di Dio alla sera (si fa ancora oggi?). La Tredicina “Chi ha d’uopo di miraaacoli…” o in latino-calabrese “Gnunchete e sette caaniii…!” a Giugno, quando preghi per essere promosso implorando la statua di Sant’Antonio con Gesù Bambino in braccio (giglio e aureole d’argento donate per grazia da ricevere dalla professoressa Concetta – Titina Basile), nell’aria addolcita dai veri gigli del Taumaturgo. La festa in piazza con il palco dei cantanti, la musica alta che fa sussultare il cuore, le luminarie, i spari (fuochi d’artificio), la riffa, la fiera, la processione, lo stendardo con le diecimila lire di carta attaccate con gli spilli, i neonati con il saio marrone e il cordoncino bianco stretti alle loro mamme, le bambine con l’abitino di Santa Rita, lo Zecchino d’oro, il sacro profumo dell’incenso, il richiamo festoso delle campane del Convento, che riempie il cuore, donando sicurezza nel presente e belle aspettative e fiducia nel luminoso avvenire, guidati dal faro splendente della fede. Padre
Remigio, Padre Eugenio, Fra Raimondo, Padre Alfonso, Padre Masseo, Padre Leone, Padre Silvestro, Padre Benigno, Fra Paolo, tutti i monaci, Peppe ‘u picuzzu, i tanti seminaristi fra cui Francesco Mazzeo, Giuseppe Sinopoli, Domenico Spinelli (che molto tempo dopo torna da sacerdote ma già il mondo è cambiato e la gioventù è volata via), Bruno Scopacasa che riportano a nuova vita l’antico Convento di Cropani, sempre grazie al piccolo-grande Padre Remigio Le Pera. La ricchezza delle vocazioni a Cropani con Padre Giovanni Mercurio, lo stesso Padre Remigio, Padre Saverio Colucci – u figghiu d’Ersilia, Padre Pasquale Pitari, Don Donato Le Pera, Don Raffaele Feroleto, Padre Francesco Critelli, Padre Amedeo Gareri l’esorcista, Padre Danilo Rizzo. E le vocazioni femminili, sempre a Cropani, con le suore Antida (Anna Le Pera), Giovanna Le Pera e Filomena (Angelina Le Pera) (tutte e tre sorelle di Padre Remigio!), suor Consolata Le Pera (cugina di Padre Remigio!), suor Giuseppina e suor Grazia Giannotti, suor Rita Marchio, suor Martina Gabriele, suor Serafina Rabia, suor Cecilia Calveri, suor Letizia Berlingò, che grande testimonianza di fede, che vivacità in quell’asilo infantile (ma poi anche le monache vanno via, la struttura chiude per sempre. Un’altra perdita dolorosa per Cropani).
Padre Remigio ama più scrivere che parlare.
Le sue omelie brevissime trattano solo di Vangelo, mai nessun accenno polemico, e questo richiama più fedeli a partecipare alle sue celebrazioni che non vanno mai per le lunghe. Più che parlare ascolta, suscita simpatia e affetto. Il suo sguardo è buono, pacato ma sempre con un piccolo fondo luminoso di ironia o di umorismo, a seconda dei casi, talvolta fiammeggiante. Passa tante ore della notte nella sua cella a fare ricerche storiche, a scrivere relazioni per la Deputazione di Storia Patria, libri, lettere ad intellettuali, articoli, a sfogliare giornali, riviste, a organizzare convegni.
Un privilegio, una gioia andarlo a trovare nel suo studio, vederlo impegnato su Fiore, Dolce, Butera, sulla storia dei conventi, sui resti delle sette colonne dove viene ritrovato un cilicio donato al Museo provinciale di Catanzaro (e attualmente esposto), sulle chiese di Cropani, sul Duomo.
Canuto, lunga barba candida, bianca come la neve; di statura modesta, ben piazzato, seduto alla sua piccola scrivania ricolma di carte e di libri, sempre in abito Francescano, riceve le visite affettuose del nipote Carmine (Caifas nell’opera sacra; che tanti anni dopo ritira il Premio Mar Jonio alla memoria di Padre Remigio), del musicista Luigi Cimino e di altri pochi intimi come Brunello Risoleo o, d’estate, dell’altro nipote, l’imprenditore di successo Enzo Caccavaro che gli è infinitamente grato per averlo avviato da bambino all’istruzione nei conventi di Calabria, in tempi difficilissimi.
Dopo l’intervista per la Gazzetta del Sud sui bombardamenti a Catanzaro, che distrussero anche la sua cella al Convento del Monte dei Morti, mentre descrive la sua sveglia fra le macerie che segna l’esatto orario della caduta dell’ordigno, sento d’improvviso l’emozione di ricevere dalle sue mani tremanti un Gesù crocifisso di carta pesta, unico suo dono, che tengo come una reliquia appeso in camera da letto.
Padre Remigio parla poco e ascolta molto, virtù ormai quasi scomparse. Dà consigli immediati, concreti, fa guardare in faccia la realtà a chi ormai pensa di averla perduta. Mostra l’evidenza delle cose a chi ritiene che la verità sia nascosta chissà dove, quando invece è lì lampante davanti agli occhi di chi da solo non riesce più a vederla. Ecco, Padre Remigio con mezza parola, accompagnata da un gesto veloce, fa vedere bene la realtà delle cose a chi non vuole o non sa vederla. E non si aspetta nemmeno che gli venga detto “grazie”, sfugge ad ogni salamelecco o smanceria. Basta vedere un suo sopracciglio un po’ alzato per capire che è contrariato, come nei commenti sulle beghe con il parroco don Nicola Arrotta.
Il suo peccato peggiore? Di gola, se peccato si può chiamare: una tijana di capretto e patate nel giorno di festa, sardeddha cruculise culinuda e un bicchiere di eccellente vino Cirò, a casa del farmacista Gaetano Risoleo, poeta, sposato con la nipote Mena. Muore in Grazia di Dio all’età di 86 anni e 8 mesi. Ancora oggi, a Cropani, sono presenti rarissimi segni visibili di riconoscenza pubblica verso i religiosi più illustri. Fra questi, il Beato Paolo D’Ambrosio, lo storico Padre Giovanni Fiore e naturalmente lo storico Padre Remigio Alberto Le Pera al quale è intitolato il piazzale antistante il Convento – Chiesa di
Sant’Antonio. Trascurato ingiustamente, fra gli altri, Padre Arturo Lattanzio; ma anche Francesco Grano seppure non annoverato fra i Ministri di Dio.
Padre Remigio riposa nella cappella di famiglia del campo santo di Cropani. Sulla sua lapide di marmo si legge: OPERA ILLORUM SEQUUNTUR ILLOS – APOCALISSE – 14,13 – P. REMIGIO AL SECOLO ALBERTO LE PERA – SACERDOTE CAPPUCCINO –
1.2.1907 CROPANI + 2.10.1993 AMÒ DIO E LA SUA TERRA, LA GIUSTIZIA E LA
VERITÀ. LAUDATO SII MI SIGNORE PER SORA NOSTRA MORTE CORPORALE – SAN
FRANCESCO D’ASSISI –
In un libro su Cropani dedicato “Ai miei cari genitori, Carmine Le Pera e Filomena Tarantino, che tanto amarono questa nostra terra di Cropani e dove hanno onorata sepoltura”, padre Remigio consegna un messaggio significativo, e non solo ai cropanesi, con la frase riportata in apertura del volume, presa da Seneca (Epist. 66, 26): “Nemo patriam quia magnam est amat, sed quia sua”, “Amiamo la patria non già perché è grande, ma perché è nostra”.
Lui l’ha amata”.