PALERMITI (CZ) – “ASPETTANDO ANCORA GARIBALDI” CON GREGORIO CALABRETTA
Spettacolo su quello che i libri non dicono sull’Unitò d’Italia al teatro “Artem”
di Salvatore Taverniti (Gazzetta del Sud)
PALERMITI (CZ) – 15 GENNAIO 2018 – “Aspettando ancora Garibaldi” è lo spettacolo allestito da Gregorio Calabretta, autore, regista e attore calabrese, che è stato rappresentato ieri, domenica 14 gennaio, alle ore 17.30, nel teatro “Artem” di Palermiti.
Si è trattato di un monologo, in un tempo, che si è sviluppato attraverso il racconto di 150 anni della storia del popolo calabrese, partendo dalla situazione politica nella penisola italica prima del 1860, dal regno delle due Sicilie dei Borbone, ai Savoia, all’emigrazione, al fascismo, alle guerre, alle occupazioni delle terre, a Melissa, fino ai giorni nostri.
Un viaggio “per raccontare ciò che i libri di scuola non dicono” e che pone alcune riflessioni su cosa è cambiato nella nostra regione dopo l’Unità d’Italia. L’interesse suscitato dalla pièce è dettato dal suo ripercorrere i trascorsi d’una terra, la Calabria, che si porta dietro un retaggio difficile da cancellare.
«Lo stesso – afferma l’autore – che i libri di scuola continuano a nascondere ai nostri giovani. Quello viziato da falsità, da menzogne somministrateci con l’obiettivo di ingannare».
«Le ragioni del titolo – sottolinea Calabretta – stanno nell’attesa, nella speranza, che da sempre i calabresi hanno riposto su Garibaldi, o su un cavaliere, un commendatore qualsiasi. Le castagne dal fuoco dobbiamo imparare a tirarcele con le nostre mani, senza demandare ad altri ciò che potremmo benissimo fare da soli. Basterebbe compiere ciascuno il proprio dovere per risollevare questa nostra regione.
La sconfitta più grande per noi meridionali causata dall’Unità è stata la perdita della nostra identità culturale il senso di appartenenza che rende gli uomini orgogliosi della propria terra. Vi sono due modi per cancellare l’identità di un popolo: il primo è di distruggere la sua memoria storica, il secondo è di sradicarlo dalla propria terra. Noi meridionali li abbiamo subiti entrambi».