SALVARE LA CALABRIA PER SALVARE IL SUD
Roberto Biscardini
Riceviamo e pubblichiamo:
PRESERRE (CZ) – 2 MAGGIO 2023 – Roberto Biscardini, classe 1947 (https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Biscardini e http://www.biscardini.it/) oltre ad essere architetto e urbanista, già docente universitario, deputato regionale in Lombardia e senatore della Repubblica è un innamorato della Calabria, tanto da essersi laureato (con 110 e lode) al Politecnico di Milano nel 1970 proprio con una tesi sulla nostra regione “Il ruolo della Calabria all’interno della politica degli interventi macro-urbanistici e macro-economici”; e tanto da preferire prodotti calabresi, tra cui principalmente l’olio d’oliva.
Propongo la lettura delle seguenti sue due pagine di interessante riflessione, datate primo maggio 2023, sulla Calabria ed il Sud.
Domenico LANCIANO (Responsabile Università delle Generazioni)
SALVARE LA CALABRIA PER SALVARE IL SUD
Nelle settimane scorse l’Istat ha rilevato nel primo trimestre 2023 una crescita del PIL e stimato per tutto il 2023 un incremento del 1,8. Ciò ha consentito al nostro Governo di cantare vittoria, ma nulla si è detto circa la crescita o la decrescita del Sud.
Anche perché altrimenti emergerebbe una debolezza strutturale dell’iniziativa pubblica, confermando, purtroppo, che l’economia meridionale non va ancora assolutamente bene. Basta il dato dell’ultimo rapporto Svimez.
Nel 2023 il PIL meridionale si contrarrebbe fino a -0,4% nonostante la crescita del centro-nord.
Nel rapporto Svimez si rilevano inoltre alcuni dati allarmanti. Per esempio alla crisi economica complessiva e alle carenze infrastrutturali si attribuisce al progressivo disinvestimento nel settore dell’istruzione la debolezza del sistema economico anche per il futuro.
Con una povertà sempre in crescita, stimata per il 2023 di 760.000 nuovi poveri al sud e una situazione occupazionale assolutamente negativa.
Ciò conferma che per il Sud le cose sono andate male anche in questo ultimo decennio e non si vede alcuna inversione di tendenza.
Dopo gli anni del coronavirus si aprono quindi tre scenari possibili.
Il primo, la ferocia del sistema capitalistico e liberista potrebbe aggravare ancora di più le diseguaglianze tra Nord e Sud.
Il secondo, la debolezza delle istituzioni e della politica incoraggia la rassegnazione della popolazione e l’accettazione passiva delle regole del mercato, quindi della povertà.
La terza ipotesi, positiva, è quella che dovremmo avere davanti a noi come riferimento principale di una nuova lotta politica. Affinché contando sulla rinascita di una politica più autorevole, sostenuta da una coscienza civile diffusa e da un movimento delle forze lavoro occupate o sfruttate, si possa, nel coordinamento tra istituzioni locali e politiche di sostegno dello Stato centrale, definire un nuovo progetto di crescita e sviluppo.
D’altra parte, senza uno Stato forte, nazionale e locale, il Sud è destinato ad essere ancora meno influente, aggravando diseguaglianze ed ogni tipo di distanza.
La distanza tra ricchi e poveri. La distanza tra chi ha il lavoro e chi non ce l’ha.
Tra i garantiti e i non garantiti.
La distanza culturale e di accesso alle opportunità. La distanza tra popolazioni urbane e popolazioni rurali. La distanza tra chi può contare su servizi sociali (sanità, scuola e casa) e chi no. Ma soprattutto la distanza tra Nord e Sud.
Dentro questo quadro c’è la Calabria, che rimane la regione con il tasso più basso di produzione di ricchezza e con il più basso PIL pro-capite italiano. Con 800.000 persone che vivono in famiglie a rischio povertà, pari al 40% della popolazione.
Una regione che, partendo da una posizione svantaggiata anche rispetto alle altre regioni del Sud, avrebbe bisogno di marciare a una velocità ancora maggiore delle altre e persino del Nord per ridurre le distanze e avvicinarsi al maggiore equilibrio economico possibile, in un tempo relativamente breve.
Il cambio di rotta può avvenire rimettendo in campo la battaglia politica per lo sviluppo, attraverso l’azione di uno Stato più imprenditore, in grado di mobilitare ingenti investimenti pubblici, riscoprendo il valore della programmazione pluriennale, non subendo soltanto la logica del mercato.
Certo siamo certamente lontani dagli anni virtuosi della programmazione economica e del Progetto 80, quando ci interessavamo del Sud puntando tutto sul riequilibrio economico, sulla sua industrializzazione e sul recupero di tutte le risorse produttive, da quelle agricole e ambientali, per ridurre la forbice tra Nord e Sud e contrastare lo spopolamento.
Che in base ai trend attuali potrebbe sottrarre alla Calabria entro il 2050 circa 600.000 abitanti.
Un’enormità.
Così come bisogna contare sulle politiche attive per il lavoro.
Per evitare gli errori commessi in questi ultimi anni, quando si è consentita la precarizzazione dei ceti medi e si è toccato il fondo con il lavoro senza tutele. Sfruttamento e persino schiavitù.
Politiche del lavoro per nuova occupazione, rafforzando i punti di eccellenza nei settori manifatturieri e in quelli ad alta tecnologia, per favorire una nuova politica industriale e la localizzazione di nuove imprese (come per altro sta avvenendo in questo ultimo periodo persino negli Stati Uniti, la patria del libero mercato, attraverso forti incentivi pubblici).
La nascita di nuove fabbriche e di una nuova classe operaria non è assolutamente impossibile anche da noi.
Ma anche nuova occupazione impegnata nella messa in sicurezza del territorio, per la difesa idrogeologica, per la qualità dell’ambiente, vero e straordinario patrimonio della Calabria, mai sufficientemente valorizzato. Così come la riqualificazione del patrimonio edilizio degli antichi borghi.
Ma veniamo al un punto centrale della questione.
Come recuperare il deficit infrastrutturale, indicando le necessarie priorità dentro una visione regionale complessiva.
Dalla riqualificazione, in primo luogo, della rete principale delle ferrovie, lungo le coste ionica e tirrenica, fino alla realizzazione in tempi brevi del progetto di Alta velocità (che già negli anni ’70 chiamavamo “ferrovia continentale”), affinché si possa raggiungere Reggio lungo la dorsale calabra, passando per Cosenza.
Per garantire quindi facile accessibilità, non solo agli insediamenti costieri, ma anche ai centri urbani più interni, quelli storici e ricchi di patrimonio artistico e monumentale. Centri nevralgici del rilancio di un nuovo turismo di massa.
Un sistema rafforzato dal potenziamento delle linee trasversali, che già allora chiamavamo “ferrovie metropolitane regionali”, cioè con un servizio rimico e frequente, come la Sibari-Paola (con una possibile diramazione da Spezzano verso Belvedere Marittimo) e naturalmente il potenziamento della Lamezia Terme-Catanzaro e della Gioia Tauro-Siderno.
Un sistema al quale dovrebbero aggiungersi servizi di trasporto su gomma (ma anche per tratte sistemi a guida vincolata) per difendere le prerogative degli insediamenti collinari che si trovano sulle pendici e sui terrazzi delle Serre e dell’Aspromonte alla quota dei 300/500 metri di altitudine.
In questo senso, l’Alta velocità per Cosenza e per Lamezia Terme rivaluta, in modo baricentrico, l’intera area vasta interna, valorizzando nel contempo una città, con una grande storia, che ha avuto sempre un ruolo importante nella formazione di quadri e produzione di cervelli, dalla cinquecentesca Accademia Cosentina alla moderna Università di Rende.
Certo, una prospettiva di sviluppo che ha bisogno di forti energie in una situazione in cui non basta più l’opposizione, ma occorre saper contestare, al confine della ribellione, gli errori, le scelte sbagliate e le negligenze dei governanti.
Quindi, se è vero, come spesso viene enunciato, che occorre investire al Sud per salvare l’Italia, una questione altrettanto centrale è che occorre salvare la Calabria per salvare il Sud.